Uno spettacolo di Antonio Rezza e Flavia Mastrella
Con Antonio Rezza, Ivan Bellavista
Con la partecipazione di Timoty Granger
(mai) scritto da Antonio Rezza
Habitat di Flavia Mastrella
Collaborazione alla regia e all'ispirazione Massimo Camilli, Disegno luci Mattia Vigo, Riprese sonore Massimo Simonetti, Organizzazione Stefania Saltarelli
Produzione Fondazione TPE, TSI La Fabbrica dell'Attore-Teatro Vascello, RezzaMastrella
Teatro Puccini di Firenze, 15-16 febbraio 2013
Genova, venerdì 31 gennaio 2014, Teatro della Tosse
Nonostante la costruzione dello spettacolo sia "scientifica", termine usato dal performer, resta difficile rielaborare quello a cui abbiamo assistito. Del resto è proprio la narrazione uno dei bersagli contro cui si scaglia il teatro di Rezza-Mastrella. Nessun desiderio di raccontare una storia, ma una performance feroce che vuole torturare gli spettatori. Una delle prime scene dello spettacolo è proprio la derisione della fiction tv, aedo contemporaneo, che il performer definisce "una co-produzione" tra gli autori e i milioni di spettatori che la guardano.
Flavia Mastrella, artista visiva che collabora con Rezza da oltre venticinque anni, ha creato un habitat dentro al quale Antonio si è calato per molti mesi alla ricerca dello spettacolo. Lunghi teli bianchi e azzurri tirati da un capo all'altro del palcoscenico diventano costume e casa del monologo dell'Ansia e delle elucubrazioni di Santa Rita da Cascia; una struttura a fisarmonica è il teatrino dello scambio d'identità tra Rita e Rocco. Una sedia azzurra attaccata ad un triciclo è il trono di Mario che esce di scena e abbandona il pubblico per minuti interminabili; una figura antropomorfa di carta fissata ad una macchinina telecomandata viene sacrificata ad inizio spettacolo perché "la spensieratezza va stroncata alla nascita".
Il connubio tra la forma di Flavia e la "demenza" di Antonio riempie di significato la performance. Il corpo seminudo, nervoso, scavato e i riccioli ribelli di Rezza sono parte essenziale della potenza visiva e della fascinazione dello spettacolo. Non ha paura di fare mostra e scempio del proprio corpo, di dire tutto, soprattutto quello che non si osa dire. La violenza, la crudeltà, l'assenza di speranza sono i capisaldi che guidano l'azione scenica, rielaborati da Rezza in chiave ironica e immaginifica. Gli spettatori si contorcono dal ridere senza capire il perché. Lo sforzo del pubblico di fare ordine nel caos autogestito della performance è continuamente negato.
Ultima scena. Gli spettatori diventano personaggi. Rezza illumina con uno specchio alcuni volti in platea e dà loro voce. Li mette in imbarazzo e li costringe ad alzarsi, a cambiare posto. A seguire i suoi ordini nell'ultimo atto della sua opera. È perentorio e violento nelle sue richieste. Le ultime parole che pronuncia sono di denigrazione nei confronti del pubblico. Eppure quest'ultimo lo applaude a lungo perché si è divertito per quasi due ore e ha intuito, nel flusso performativo, il genio originale e potente di questo artista.
Marianna Norese
Da ormai 25 anni, il sodalizio artistico di Antonio Rezza e Flavia Mastrella sbaraglia le platee, cinematografiche o teatrali che siano, per assurgere a uno stadio che coniuga feroce ironia e tagliente derisione, critica sociale ma mai - giammai - retorica.
In Fratto _ X dissidenza irridente e comicità beffarda si alternano sul palcoscenico; per oltre un'ora, lo spettatore diviene il bersaglio di una raffica di parole, e si hanno gli occhi gonfi dal ridere, lo stomaco annodato dall'amarezza.
Una grande X prende forma man mano sul palcoscenico, derivazione ultima di quell'habitat che la maestria di Flavia Mastrella, poliedrica artista e scultrice di professione, ha concepito, ancora una volta, per accompagnare le prodezze di quell'istrione assoluto che è Antonio Rezza. Una cifra stilistica estremamente riconoscibile, quella del duo, a tratti anche troppo, con quegli elementi scenici che ritornano costanti, quella mimica facciale spiazzante, quelle dinamiche fra l'uno e l'altro – ma che poi, sempre dell'uno si tratta.
Accompagnato sulla scena dal bravo Ivan Bellavista, Rezza allestisce una galleria di personaggi improbabili ed esilaranti, difficili, se non impossibili, da incanalare in una griglia prestabilita di categorizzazioni e definizioni.
Ed è così che "la televisione, in collaborazione con l'infermità mentale di chi la guarda", propone fiction demenziali e seguitissime, mentre l'Ansia cresce con Peppe e lo attanaglia, mentre Rocco e Rita si scambiano voci, cappelli e identità, mentre Rita da Cascia si lancia in un monologo sulla provenienza per sentenziare, alla fine di tutto, che "si ama non per sentimento ma per residenza". E quando l'uno sospetta che l'altro "faccia la voce sua" e parli al suo posto, si delinea l'agghiacciante scenario della società moderna, in cui qualcuno fa la voce di tutti mentre tutti, mediamente consapevoli, stanno a guardare muovendo le labbra in un -tutto sommato- consenziente playback.
Complice l'habitat creato ad hoc da Flavia Mastrella, Rezza plasma un universo di personaggi derelitti e inquieti, esilaranti nella loro sfrontata alienazione. Un'analisi lucida sulla miseria dell'uomo, causata da un disagio sociale prima ancora che individuale; un'equazione matematica con un fratto che annulla, poiché, alla fin fine, "si muore per eccessiva semplificazione".
Anna Colafiglio