di Lars Norén
traduzione di Annuska Palme Sanavio
regia di Marco Plini
scene e costumi si Claudia Calvaresi, luci di Robert John Resteghini, suono di Franco Visioli, assistente alla regia Thea Dellavalle
con Angelo Di Genio, Michele Di Giacomo, Alessandro Lussiana, Federico Manfredi
direttore tecnico Robert John Resteghini
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione
Teatro delle Passioni di Modena, dal 3 al 23 marzo 2011
Tutto si svolge in un parchetto giochi, in un bosco, alla fine dell'anno scolastico. A festeggiare la maturità appena conseguita è un tro di ragazzotti rasati, con gli amfibi ai piedi e bomber indosso. La divisa denuncia subito che si tratta di tre naziskin, tre ragazzi che appartengono a quella gioventù sedotta dalle ideologie di destra più per paura che convinzione, più per inadeguatezza al presente che per consapevolezza. Nella costruzione drammaturgica di impatto cronachistico elaborata da Lars Norén c'è il desiderio di documentare il 'freddo' di quelle anime, il disorientamento di quei tre ragazzi, profondamente nazionalisti, impegnati a sorsi di birra a difendere l'identità svedese, peccato che uno di questi tre sia musulmano. Contraddizione interna che non viene presa in considerazione, falla esistenziale che è accettata per sentimento di coesione fra disperati. Il dialogo fra i tre è destinato a basarsi sulla banalità dei luoghi comuni per dare più crudeltà al montare della vicenda che deflagra quando Kalle, loro compagno di classe ma di origine coreana passa per il parco giochi per recarsi alla sua festa di fine anno, prima di partire per la Grecia con la fidanzata. Qui scatta il meccanismo di violenza che prende spunto dal colore della pelle, da quell'origine coreana che cozza contro l'identità svedese malgrado il ragazzo sia svedese per fomazione e cultura. C'è poi l'evidente disparità fra i tre ragazzi, evidentemente meo agiati e meno iseriti e la natura di benestante di Kalle, ragazzo adottato da genitori della buona borghesia svedese. Anche in questo caso ci si trova davanti ad un procedere per opposti di un testo che nella sua banalità e schematismo cronachistico cerca di raccontare la realtà di un disagio sociale che c'è e che si alimenta con uno strisciante senso di inadeguatezza nei confronti di un mondo difficilmente gestibile. Come prevedibile fin dall'aprirsi del sipario, Freddo procede con didascalica violenza verso l'epilogo tragco, il sacrificio di quello svedese dalla pelle scura, l'uccisone dell'altro perché diverso, perché più debole, ma forse alla fine perché più inserito nel mondo dei tre adolescenti che si trastullano fra birre e altalene in nome di un potere fisico e di una superiorità di razza che finiscono con essere solo i disperati appigli di una gioventù annoiata a cui è precluso ogni orizzonte. In tutto ciò la messinscena di Marco Plini si muove con elementare descrittività, fonisce il la a un testo che di per sé non ha un'evoluzione drammaturgca soprprendente ma si limita a registrare il reale o meglio la banalità del vuoto che attanaglia una generazione di ragazzi che non è solo svedese. Gli attori Angelo Di Genio, Michele Di Giacomo, Alessandro Lussiana, Federico Manfredi assolvono con intensità fisica ed energia interpretativa ad un racconto che pare volto a un pubblico di adolescenti, pare strutturato per far breccia su una platea che possa specchiarsi anagraficamente con i protagonisti di Freddo. L'effetto di immedesimazione funziona, forse garzie ad un narrare teatrle che non lascia nula di insoluto, che tutto desrive e dice fino a sfiorare la banalità.
Nicola Arrigoni