di Orson Welles
Adattato - prevalentemente in versi sciolti - dal romanzo di Herman Melville
traduzione Cristina Viti
uno spettacolo di Elio De Capitani
costumi Ferdinando Bruni
maschere Marco Bonadei
musiche dal vivo Mario Arcari e Francesca Breschi
luci Michele Ceglia, suono Gianfranco Turco
con Elio De Capitani
Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Di Sacco, Vincenzo Zampa
assistente regia Alessandro Frigerio
assistente scene Roberta Monopoli
assistente costumi Elena Rossi
una coproduzione Teatro dell'Elfo e Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale
Teatro Elfo Puccini, Milano, dal 14 febbraio al 3 marzo 2024
IL DELIRIO DI ACHAB ALLA RICERCA DI SE STESSO All’Elfo Puccini di Milano va in scena il testo di Orson Welles, riadattato da Elio De Capitani. Moby Dick è messo alla prova. Vediamo, sul palcoscenico, un gruppo di attori che si prepara per metterlo in scena. Il regista, in una sorta di prologo, si rivolge al pubblico chiedendogli uno sforzo immaginifico in quello che vedrà. “Di che cosa ha bisogno l’attore? Di niente. Come di niente? Del pubblico” ci dice. Tre scale con piattaforme a diversa altezza, tavoli con ruote e il fondale bianco sono gli elementi scenici che diventeranno una baleniera e lo sconfinato scorrere dell’Oceano. È così che inizia lo spettacolo. Elio De Capitani è Achab, ossessionato dalla caccia alla balena che gli ha strappato una gamba. I marinai lo seguono sulla baleniera in questa avventura ma partono dubbiosi sulla possibilità di tornare vincenti. Lo capiamo bene quando prima della partenza, al porto, un vecchio folle predice sventura ad Achab. È un ammonimento. Il viaggio inizia. Poi, l’incontro con il temibile capodoglio accade. È, forse, il momento più bello dello spettacolo. C’è una sospensione temporale che anticipa questo incontro. Le acque iniziano a smuoversi nella schiuma bianca, gli uccelli volano: sono momenti che riusciamo a vedere. La balena rappresentata dal telo bianco che ingoierà Achab è quello che segue. “Sipario” urla il regista, ricordandoci di aver assistito alla messinscena di una messinscena; una trovata interessante di De Capitani che fa scorrere la drammaturgia lungo un doppio binario tra finzione e finzione della finzione. Il resto è un lavoro corale ad orologeria di bravissimi attori che recitano personaggi dalla personalità ben definita. “Non siamo nati per stare dietro una scrivania ma per andare” è il messaggio che ci consegna uno degli attori, all’inizio dello spettacolo. Itaca però non c’è. Il viaggio è di solo andata. La hybris di Achab segnerà la fine sua e di chi ha ceduto all’onnipotenza del Capitano nella trasposizione scenica del grande Sogno Americano. Andrea Pietrantoni