di Albert Camus
traduzione Giulia Serafini
regia di Emanuele Conte
con Luca Mammoli, Gianmaria Martini, Sarah Pesca, Graziano Sirressi e Alessio Zirulia
scene Luigi Ferrando
costumi Danièle Sulewic
luci Matteo Selis
produzione Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse
Al Teatro della Tosse di Genova, dal 22 febbraio al 4 marzo 2017
Quel caso di coscienza di una giovane cellula terroristica
Va dato merito a Emanuele Conte il perseguire la messa in scena di testi coraggiosi e rari di autori di quel Novecento di tanta letteratura filosofica, come Albert Camus, che, raccontando di figure e storie di un passato emblematico e del disagio esistenziale, s'innestano per tematica e riflessione nel nostro travagliato tempo che fa i conti col terrorismo di diversa matrice. L'idea e i temi di rivoluzione, di violenza, di libertà, di giustizia, di pietà, di dilemmi etici, di fanatismi ideologici e politici, permea I Giusti, testo dello scrittore e filosofo francese premio Nobel, raramente rappresentato, che fa seguito ad un Caligola da poco allestito sempre con la regia di Conte. Essenziale ed efficace la messinscena al Teatro della Tosse di Genova, dove le parole de I Giusti, nella traduzione di Giulia Serafini, vibrano taglienti e umanissime in bocca a cinque giovani attori, quatto uomini e una donna, credibili e appassionati nel dare corpo e voce a quel manipolo di rivoluzionari socialisti russi che attentarono e uccisero il 17 febbraio del 1905 a Mosca, il granduca Sergej Romanov, colui che, come lo definirà il suo assassino, «incarnava la suprema giustizia, quella che schiaccia il popolo russo». Il fallimento del primo tentativo di far esplodere con due bombe la carrozza col despota a causa della inattesa presenza di due bambini, crea una profonda spaccatura all'interno del gruppo. Irrompe improvviso il dilemma delle coscienze soprattutto tra le figure di Stepan e Kaliayev: il primo incarna il radicale ribellismo nichilista, il secondo, soprannominato "il Poeta", la tensione utopica, l'idealismo puro. «Bisogna distruggere questo mondo da cima a fondo - dirà Stepan -. E poi ci ameremo... se ci saremo ancora. E se non ci saremo più, altri si ameranno. È la stessa cosa». E Kaliayev: «Noi uccidiamo per costruire un mondo in cui nessuno ucciderà mai più! Noi accettiamo di essere criminali perché finalmente la terra si popoli di innocenti». I preparativi dell'attentato sono sullo sfondo. Ad essere in rilievo è il dramma umano che agita le menti e gli animi dei personaggi, in contrasto tra di loro per le diverse visioni e posizioni riguardanti la rivolta: è possibile dare una giustificazione morale alla violenza e al terrorismo rivoluzionario? Il fine giustifica i mezzi? Domande che tuonano per le derive di ieri e di oggi che generano, e che trovano eco nell'indefinita collocazione temporale della messinscena, seppur siano presenti accenni all'epoca nei moderni costumi dalle vaghe fogge russe. Una monolitica gabbia metallica – ingegnosa e funzionale scenografia di Luigi Ferrando – continuamente da scalare, funge da luogo di ritrovo e punto di avvistamento dei rivoluzionari; successivamente, sotto, illuminata all'interno, diventerà la cella del carcere di Boutirki dove, condannato all'impiccagione, viene rinchiuso Kaliayev, colui che «ha lanciato la bomba sulla tirannia, non su un uomo», come definirà il suo gesto. Un girotondo di visite accompagneranno la sua prigionia, tra cui, nel tentativo di salvare la sua anima e strappargli il pentimento, la Granduchessa, cristiana, scampata all'attentato, che entra e dialoga col giovane volteggiando e scivolando nell'ampia veste nera e con un grande cuore luminoso sul petto, come una Madonna da iconografia popolare. Sequenza bellissima, densa di parole come grazia, amore, fraternità, dubbio, vergogna, pena, ingiustizia, tradimento, perdono, che risuonano potenti chiudendo uno spettacolo asciutto, rigoroso, avvolto da musiche dal forte timbro elettrico, da lodare in toto anche per l'intensa prova dei giovani attori: Luca Mammoli, Gianmaria Martini, Sarah Pesca, Graziano Sirressi e Alessio Zirulia.
Giuseppe Distefano