HUMAN
scritto da Marco Baliani e Lella Costa
regia: Marco Baliani
con Marco Baliani e Lella Costa
e con David Marzi, Noemi Medas, Elisa Pistis, Luigi Pusceddu
collaborazione alla drammaturgia: Ilenia Carrone
scene e costumi: Antonio Marras
musiche originali: Paolo Fresu con Gianluca Petrella
scenografo associato: Marco Velli
costumista associato: Gianluca Sbicca
disegno luci: Loïc Francois Hamelin e Tommaso Contu
assistenti alla produzione: Agnese Fois e Leonardo Tomasi
produzione: Mismaonda, Sardegna Teatro e Marche Teatro
Milano, Piccolo Teatro Strehler dal 7 al 14 ottobre 2016
HUMAN è un titolo di per sé complesso e contradditorio per quella riga che cancella il termine e che appare come un chiaro riferimento a un venir meno e a una deminutio fino alla sparizione dell'umanità: interpretazione suffragata dal sottotitolo Viaggio lungo la linea che separa umano e disumano, icastica sintesi di finalità e intenti degli studi preparatori dello spettacolo che racconta aspettative, speranze, paure e soprattutto strappi, dolori e disperazioni delle migrazioni e integrazioni.
Il fatto che gli autori del testo, i seri e impegnati Lella Costa e Marco Baliani (due personaggi di rilievo del nostro mondo teatrale) - anche interpreti insieme ad altri quattro validi attori della pièce con l'attenta, puntuale ed equilibrata regia dello stesso Baliani - abbiano ambientato i vari quadri nel nostro Occidente riferendosi a vicende di ieri e di oggi verificatesi nel Mare Nostrum è significativo del volere fornire una fotografia di fatti specificamente 'nostri' allo scopo di scuotere le coscienze di tutti liberandole dal velo dell'abitudine che obnubila i fatti quotidiani e fa muovere come automi indifferenti al male e al bene. Purtroppo tali eventi non sono limitati a questa frazione di mondo, ma lo riguardano tutto da sempre.
Che fare allora se non 'raccontare' estrapolando alcuni episodi che nel mito e nella storia hanno visto migrazioni forzate e dolorose decise dagli stessi emigranti per cause di forza maggiore o imposte a fini politici? Durante l'impero romano, infatti, e poi nell'epoca bizantina per esempio succedeva spesso che per sedare popoli tenaci nella rivolta e non facili a piegarsi alla dominazione altrui li si deportasse in blocco sostituendoli con quelli dei territori destinati ad accogliere gli indomabili di turno, soluzione forse meno traumatica che divenire schiavi.
Pescando nell'infinita casistica disponibile, i due autori dell'encomiabile fatica si sono riferiti all'Eneide che letta con l'ottica nostra non è altro che la migrazione di alcuni profughi troiani alla ricerca di una nuova patria: Enea è profugo per necessità, così come lo è per amore Leandro nel mito ovidiano di Ero e Leandro in cui i due amanti sono separati dallo stretto di mare a volte tempestoso dell'Ellesponto e dall'ostilità delle rispettive genti. Questo toccante racconto egregiamente interpretato da Marco Baliani e Lella Costa viene tuttavia frammentato a svantaggio di pathos e tensione.
Man mano si arriva all'oggi con il continuo giungere in Europa di migranti disagiati e dolenti che generano situazioni reattive non sempre molto umane, anzi connotate da superficialità, presunzione, ignoranza e ipocrisia esattamente simili a quelle vissute dagli emigrati italiani, e non solo, nel secolo scorso e poco prima: corsi e ricorsi storici senza fine...
Colpisce il fatto che secoli di eventi analoghi non abbiano portato almeno a uno scemare di intolleranze, persecuzioni, violenze... individuali o di massa che invece a periodi alterni riprendono con la virulenza di una lava compressa: vividi esempi dell'incapacità dell'uomo di modificarsi.
Allora a chi giova metterli in scena? Al di là di inevitabili pessimismi, resta il ruolo del Teatro che porta avanti da sempre un'azione positiva verso il sociale inducendo alla riflessione e facendo nascere a volte risposte costruttive: in questo caso non si tratta solo della pièce in sé, ma anche di un progetto con confronti, incontri e azioni che coinvolgono scuole facendo leva sulle giovani generazioni, speranza del futuro.
Al riguardo occorre mettere in evidenza la bravura dei quattro giovani attori (David Marzi, Noemi Medas, Elisa Pistis e Luigi Pusceddu) che insieme a due pilastri del nostro teatro disegnano in modo lieve e ironico il qualunquismo odierno che disturba più di ieri non solo perché lo viviamo, ma anche perché sembra paradossale essendo il grado di istruzione notevolmente migliorato. Bisogna tuttavia notare che l'analfabetismo di ritorno finisce con l'essere una nuova piaga aggravata dal venire meno dell'umanità a vantaggio di un egoismo dilagante fondato su falsi e fragili miti che inducono a confondere e mischiare realtà e finzione.
Eccellenti le scenografie e i costumi attraverso cui Antonio Marras, sardo quindi isolano sensibile e attento al tema del partire, evidenzia il dramma di un'umanità a brandelli in senso reale e metaforico con il rosso quale colore dominante con tutti i suoi significati e accezioni. Non a caso Marras ha come icona il "ligazzo rubio" - fettuccia di colore rosso carminio che ricorda i lacci con cui chi partiva legava i propri bagagli - simbolo importante della sintonia di sentimenti, emozioni e affetti e dono che Marras fa a chi gli è caro e fidato.
Wanda Castelnuovo