Libretto di Michel Carré e Jules Barbier
dalla omonima tragedia di Wiliam Shakespeare
Musica di Ambroise Thomas
Hamlet John Osborn
Ophélie Sara Blanch
Gertrude Clémentine Margaine
Claudius Riccardo Zanellato
Laërte Julien Henric
Lo spettro del defunto re Alastair Miles
Marcellus Alexander Marev
Horatio Tomislav Lavoie
Polonius Nicolò Donini
Primo becchino Janusz Nosek*
Secondo becchino Maciej Kwaśnikowski
*Artista del Regio Ensemble
Direttore Jérémie Rhorer
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Regia Jacopo Spirei
Scene Gary McCann
Costumi Giada Masi
Coreografia Ron Howell
Luci Fiammetta Baldisseri
Direttore dell’allestimento Antonio Stallone
Nuovo allestimento Teatro Regio Torino
Torino, Teatro Regio, 15 maggio 2025
Il Teatro Regio di Torino, proponendo l’Hamlet di Ambroise Thomas, ci riporta in quella fase della storia del repertorio lirico di anteguerra quando titoli esotici, fatti nuove proposte con versione ritmica in italiano, godettero di riconoscibilità tra il pubblico dei teatri italiani. Opere poi riposte nel cassetto per lasciar spazio anche a novità o a titoli consolidati. Del resto per chi colleziona incisioni storiche di arie d'opera su 78 giri sarà pur capitato di incrociare l'aria del Brindisi dall'Amleto di Thomas nella voce del baritono Titta Ruffo, segno evidente che l'opera non era sconosciuta. La proposta torinese si è fatta ancora più interessante in quanto proposta nella versione originale per tenore nel ruolo del protagonista parte che il compositore dovette ritrascrivere per voce di baritono per mancanza di disponibilità della voce prescelta, puntando tutto poi, per la parte di Ophélie, al virtuosismo di coloritura per la presenza di una voce caratterizzata da tale caratura vocale. Questa proposta pone il Teatro Regio al centro delle attenzione per la sua predisposizione a scelte non desuete come per il ciclo Manon (Puccini, Auber, Massenet) e la Juvie di Halevy, titolo inaugurale della corrente stagione. Ma il merito anche di questo progetto è stato anche quello di aver affidato il progetto a creativi del panorama musicale e scenico. Jérémie Rhoer, classe 1973, quindi non giovanissimo, viene riconosciuto come un interprete intellettualmente sofisticato tra la generazione dei direttori transalpini, più pratico del repertorio del Classicismo d'oltralpe anche se è stato presente in Italia a Bologna con Poulenc, mentre l'allestimento è stato affidato al giovane regista Jacopo Spirei, che con uno stile personale cerca di uscire dalla tradizione nella restituzione al pubblico del melodramma. Eppure l'idea di Spirei risulta impostata nel solco di una tradizione di intellegibilità narrativa della trama. Il progetto creativo inserisce la vicenda di Hamlet in un ottocento letterario dove la tragedia shakespeariana emerge dalla lettura e dai libri, in mano ai figuranti che compaiono già in scena a luci accese, muti testimoni della tragedia che sorge come trama gotica inglese, stile sorelle Brönte, cupa e fosca. Sono infatti le parole che danno corpo al dramma teatrale che si fa libretto e parola, restituite da un complesso scenografico molto curato da Gary McCann incentrato su un salone che si trasforma con pannelli, a caduta e scorrevoli, nei diversi ambienti lasciando intravedere corridoi scaloni, camere e obitori, in una ambientazione amplificata anche dai costumi storicizzati in questo fin de siècle scorso di Giada Masi e con i tagli di luce di Fiammetta Baldisseri. In questa situazione, Spirei si attiene ad una narrazione chiara e lineare, dove è il carico della vicenda tragica che emerge di prepotenza. "Paura e delirio a Elsinore" intitola lo stesso saggio di sala il regista stesso, incentrandosi sul dubbio amletico per antonomasia Essere o non essere… di non disvelare o fingere le proprie reali intenzioni di vendetta tra cosa è giusto o sbagliato, o meglio dover celare i propri sentimenti sintetizzato dalla grande scena dell'incontro con la madre che disvela il distacco definitivo dal suo mondo di relazioni. A farne le spese sarà la giovane Ophélie. Rilettura tutta incentrata sul profondo legame fondativo con il padre, spirito infernale che emerge come un ricordo da un obitorio, un legame che si riassume nel rivedersi Amleto, fanciullo, con Ophélie, che accompagnano la comparsa del padre a segnare un destino di vita, stroncato dalla sua morte violenta, dallo zio omicida e dalla madre fedifraga. Qui è la tenuta del dramma, leggibile senza cadere nella nevrosi psicotica, annunciata a parole ma non conseguita in scena. Ancor più evidenziata dal complesso della messinscena che cerca di riaccendere i fari sulla maniera da Grand opéra in una razionale grandiosità espressa nella folle scena dei teatranti qui inscenata da enormi pupazzi carnascialeschi, di effetto manovrati come un abile teatro di marionette. Ma è la scena della pazzia di Ophélie, abilmente costruita musicalmente da Thomas che non ha nulla di tragico, che segna il culmine di questo riaffacciarsi nel mondo onirico, con quel richiamo alle ninfe delle acque in cui si perde Ophélie, le Villi, che era segno di morte imminente se visibili ai mortali. Suggestiva il gioco di teli che creano la struttura in cui, come una tomba di disperde l'anima e la mente della protagonista. Il finale viene lasciato alla libera interpretazione registica: se il libretto prevede un esito di liberazione per il ripristino della legalità nel regno di Danimarca qui si opta per il finale tragico in cui Hamlet si uccide e si ricongiunge sul suo cavallo a dondolo segno della riconquistata innocenza infantile. Più razionale la gestione musicale Jérémie Rhorer che con autorità giuda l'Orchestra del Regio. Partitura complessa per l'uso di fiati e nuove sonorità melodiche affidate al sassofono come strumento guida per gli assoli, tesa a costruire l'essenza drammatica piuttosto che lirica andando alla ricerca di sonorità rarefatte per la grande scena della pazzia. Resa di qualità anche dalla presenza di un cast tra consolidate certezze e nuove proposte che si stanno affermando nel panorama internazionale. La voce di tenore è stata affidata a John Osborn, voce esperta e ben strutturata anche nel registro centrale in una parte che non richiede slanci vocali ma introspezione drammatica e ampi spazi di liricità interpretativa. Del resto l'aria di battaglia del Brindisi compare in un momento di gran parossismo scenico, o come le due scene complesse e tormentate dei duetti con Ophélie e della gran scena con la madre. Gran dimostrazione di bravura l’Ophélie di Sara Blanch con una voce che le permette si spaziare nell'ampia gamma delle agilità previste nella scena della pazzia dando senso drammatico e lucido alle aridezze vocali che Thomas inserisce in quella scena; nel contempo dimostrando consapevolezza drammatica e in maniera delicata al suo personaggio emotivamente fragile, meritandosi ovazioni a scena aperta al termine della complessa scena della pazzia sapientemente costruita. Nelle parti di affiancamento ben strutturata la Gertrude del mezzosoprano Clémentine Margaine che delinea un personaggio d'autorità tra una matrona immatura che riacquista la consapevolezza di madre. Riccardo Zanellato, nel ruolo scomodo di re Claudius, è stato capace di definire un personaggio di fratello cinico e scaltro ma travolto dal destino. Julien Henric è un Laërte di qualità, Alastair Miles uno spettro efficace. Funzionali allo resa dello spettacolo Alexander Marev (Marcellus), Tomislav Lavoie (Horatio), Nicolò Donini (Polonius), Janusz Nosek (primo becchino) e Maciej Kwasnikowski (secondo becchino). Sontuosi gli inserimento del coro addestrato da Ulisse Trabacchin. Alla fine accoglienza trionfale per tutti per una proposta fuori dagli schemi del consolidato repertorio. Federica Fanizza