di: Francesco Niccolini e Marco Paolini
consulenza scientifica Stefano Gattei
consulenza storica Giovanni De Martis
Scene: scenotecnica Juri Pevere, direzione tecnica Marco Busetto, illuminotecnica e fonica Ombre Rosse
Produzione: Michela Signori, Jolefilm
Interpreti: Marco Paolini
Trieste, Politeama Rossetti, dal 11 al 16 ottobre 2011
al Ponchielli di Cremona, 11 gennaio 2012
Tutto inizia con un «minuto di rivoluzione», richiesto da Marco Paolini al pubblico che più o meno imbarazzato risponde con gridolii, qualche risatina, un «Figooo...», o ancora «Meglio al mare che ai Monti», in nome di un conformismo imbarazzato e di un inatteso invito a partecipare che spiazza e rende lunghissimo quel minuto. Quel minuto di rivoluzione torna alla fine, nella tirata in cui Marco Paolini fa il commento e la morale alla lezione scientifica di Galileo Galilei, laddove la rivoluzione è il saper pensare con la propria testa, coltivare la cultura del dubbio, lanciare lo sguardo oltre il definito e già detto. E' questa la lezione ultima del grande scienziato, che abiurò le sue ricerche ma non si arrese. In mezzo fra l'imbarazzo della rivoluzione e la cultura del dubbio c'è Itis Galileo, uno spettacolo per attore solo costruito con grande maestria e mestiere da Marco Paolini, non solo interprete di se stesso e dei suoi racconti ma vero e proprio 'genere teatrale'. L'itis del titolo è il naturale riferimento alla scuola, al liceo classico e allo scientifico che ha frequentato l'attore, a quell'istruzione tecnica che – nel lontano mondo dominato da Aristotele e dalla Chiesa – stava in fondo alla piramide dei saperi, sormontata dalle scienze umanistiche. Il riferimento alla scuola è costante, un modo per avvicinare la materia trattata: la scienza e la sua difficoltà. il suo mistero, la scienza mediata dalla storia di Galileo, colui che contribuì a far sentire l'uomo e il pianeta che abita un puntino nell'universo infinito. L'approccio a Galileo di Marco Paolini è didattico e materico, è fatto dal suono metallico della catena che governa una mina sospesa al centro della scena, un pendolo, una sorta di sole metallico, una bomba — quell'atomica che senza Galileo e la sua opera senile non sarebbe pensabile, ma anche metafora della pericolosità di voler andare oltre ciò che è codificato —, il pianeta errante da cui osservare in modo altro il mondo e l'universo, l'errante che Paolini/Galileo cavalca citando Giordano Bruno della Cena delle Ceneri e oscillando sulle note di Roll over Beethoven. Marco Paolini è artigiano, è teatro che si mostra, è narratore di un'epoca piena di rivoluzioni, un'epoca che denuncia la vecchiaia del sapere aristotelico e tolemaico e fa cadere l'idea dell'uomo al centro dell'universo e di un mondo pieno e rassicurante. Per mettere in atto tutto ciò Paolini ha bisogno di carne e sudore, e la carne e il sudore per l'attore sono le parole e il loro suono, sono il dialetto e la mimica, è il gesto così come il suono della lingua madre, il padovano o un padano inventato alla Fo a cui Paolini fa riferimento laddove il dire e il raccontare rischia di farsi troppo astratto. Itis Galileo è una serratissima partitura per attore, è la trasformazione della narrazione in teatro agito, è il narratore Paolini che si fa personaggio, ma lo fa con la consapevolezza dell'artigiano che costruisce qualcosa che è proprio ma per essere vivo deve essere altro da sé. E questo fa Paolini ci racconta di Galileo Galilei facendolo proprio e al tempo stesso mostrarcelo, dice di un secolo lontano ma che l'attore/autore contamina con l'oggi, con battute e un po' di gigioneria che si porta via il pubblico e lo rassicura. E intanto pian piano la storia di Galileo, il personaggio Galileo prende corpo, s'intreccia alla Commedia dell'Arte, si sporca di oggi e si conquista il consenso di un pubblico rassicurato anche nel suo sentirsi partecipe di un libero pensiero.
Nicola Arrigoni
Un Paolini dirompente istrione, meno legato al teatro civile cui tanto ci aveva abituato e con cui aveva scosso le coscienze ma più didattico e riflessivo, mosso come sempre da intelligente curiosità ma a tratti anche poetico. Lo scopo è sempre quello di risvegliare il nostro senso critico, immergendoci però nell'atmosfera di un momento della Storia con la esse maiuscola per cui nessuno ancora ci aveva fatto stupire. Ci riferiamo al suo ultimo successo "Itis Galileo", monologo scritto da Francesco Niccolini e dallo stesso Paolini (con la consulenza storica di Giovanni De Martis e scientifica di Stefano Gattei), dove quell'acronimo iniziale rimanda al nome di tanti istituti tecnici sparsi in Italia dedicati al grande fiorentino nato a Pisa, uno dei padri spesso trascurati della scienza moderna come Copernico, Brahe, Keplero, Cartesio e Bruno. Un pensatore che si studia a scuola ma che non viene mai compreso abbastanza nella sua portata rivoluzionaria, nella sua forza intellettuale innovativa e contraddittoria, spavalda ma anche fragile di fronte all'oscurantismo della Chiesa dell'Inquisizione. Un personaggio che nasce nello stesso anno di Shakespeare, ha una lunga vita per l'epoca, che realizza le maggiori scoperte dopo i 60 anni e a 70 perde la sua reputazione con l'abiura. E leggere tra le pieghe della sua straordinaria biografia, trarne logiche e ironiche inferenze, ricostruirne le implicazioni culturali e sociali con precisione positivistica, metterlo in relazione con gli altri uomini di scienza attraverso un vasto repertorio di fonti, collocarlo nella straordinaria e mai scontata evoluzione del pensiero che si scontra con l'omologazione è una specialità di Paolini, che sembra sapere tutto e non avere mai dubbi. La sua affabulazione procede implacabile, infarcita di parole e buonsenso veneti, comunica costantentemente col pubblico avvertendo della difficoltà della materia, in particolare della comprensione della fisica e del metodo sperimentale, ma riserva anche delle parentesi brillanti, più emotive e teatrali. Come le traduzioni in veneto di alcuni versi dell'Amleto e soprattutto del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo(tolemaico e copernicano), testo proposto in chiave drammaturgica in cui si muove con esuberante gestualità indossando la maschera dello Zanni.
Alla fine, alcune domande che il narratore insinua negli spettatori rimangono senza risposta: "Come mai quattrocento anni dopo Galileo continuiamo tutti i giorni a scrutar le stelle per fare l'oroscopo come fossero fisse nel cielo di Tolomeo? La scienza ci ha deluso? Ha scoperto la relatività e ora regna l'indeterminatezza, la superstizione? Il nuovo oscurantismo deriva forse dall'eccesso di informazioni, vomitate dai media, che sembrano tutte vere?"...
Elena Pousché