di William Shakespeare
traduzione Dina Dodina
con Petr Semak, Igor Ivanov, Alexey Zubarev, Sergey Vlasov, Anatoly Kolibyanov, Sergey Kozyrev, Sergey Kuryshev, Danila Kozlovskiy, Vladimir Seleznev, Alexey Devotchenko/Alexey Morozov, Oleg Dmitriev, Vladimir Zakharyev/ Vitaliy Pichik, Elizaveta Boyarskaya, Elena Solomonova, Daria Rumyantseva
regia Lev Dodin
scene e costumi David Borovsky
Monalieri, Limone Fonderie Teatrali / Sala grande - dal 25 al 28 ottobre 2007
Il regista Lev Dodin e gli eccellenti attori del Maly hanno inaugurato il festival dei Teatri d'Europa
Come colpo d'occhio e anche come prova di attori il Re Lear russo del Maly di San Pietroburgo che ha inaugurato il Festival dell'Unione dei Teatri d'Europa è senz'altro uno spettacolo di prim'ordine. Massima ma elegantissima semplicità di scenografia e costumi: solo un palco nero con pochi elementi mobili aggiunti la prima, e quanto ai secondi, tenute modernoidi da aria aperta (stivali di gomma e giacche a vento) per gli uomini e aderenti abiti da sera bianchissimi e senza fronzoli per le donne, il nero del palco e questo bianco ripetuti con gradazioni nelle tenute di tutti, con la sola eccezione dei mezzi guanti rossi del fool. Quest'ultimo, cranio rasato e bombetta nera, è l'elemento di disturbo, spesso strimpellante su di un pianoforte verticale collocato di lato ironici e insistiti accompagnamenti a quanto accade. Egli gode della complicità del sovrano, un tipo inquietantemente balzano, che talvolta si unisce a lui anche alla tastiera. Molto ben messi in campo, come si direbbe se fossero una squadra di calcio, e illuminati generosamente, nonché fisicamente aderenti ai personaggi (carine e pericolose le sorelle di Cordelia, belloccio e patibolare Edmund, donchisciottescamente impettito e affidabile Kent), gli interpreti esercitano una impeccabile autorità. Tutto l'inizio con la cerimonia annunciata, il ripudio di Cordelia incapace di adeguarsi alla dichiarazione ufficiale di affetto pretesa dal padre-sovrano, fino alla di lei consegna al re di Francia che la prende senza dote (c'è una trovata: Cordelia sembra invece innamorata dell'altro pretendente, che però non accetta le nuove condizioni), poi Gloucester ingannato dal figlio cattivo che diffama quello buono... per un bel po' la lettura avvince e convince.
Andando avanti però un sospetto prende sempre più corpo, fino a diventare certezza al finale. Diversamente da altre volte, il regista Lev Dodin non si è prefisso di consegnare un testo organicamente, ovvero di dare al suo allestimento una struttura narrativa conclusa, come peraltro la tragedia di Shakespeare consentirebbe: si tratta dopotutto di un grandioso percorso verso la conoscenza di se stessi, partendo dalla superbia e, dopo, attraversando tutti gli stadi del dolore e della follia. Comportandosi invece nell'occasione come, mettiamo, un Nekrosius, il valoroso metteur-en-scène si abbandona, una volta impostato il discorso, a commenti e invenzioni su episodi singoli, togliendo quello che non lo interessava e magari dilungandosi parecchio su occasioni di grottesco, come le interminabili profezie del fool. A che serve, se non per creare una coreografia provocatoria, per esempio, che Lear e gli altri rifugiati in un avello per ripararsi dalla tempesta si spoglino fino a restare completamente nudi, salvo poi rivestirsi quando Gloucester li porta in un altro luogo incongruo, dei box tipo spogliatoio dove sono appesi i ricchi abiti da cerimonia delle figlie del re? Nessuna di queste variazioni-commento, intendiamoci, è priva di interesse; ma così allineate e non organizzate, finiscono per far perdere di vista lo sviluppo della storia, tanto che non ci ribelliamo quando all'improvviso, come avendo perso l'interesse per il suo stesso gioco, Dodin elimina quasi completamente l'ultim'atto e manda tutti a casa. Dopotutto sono passate tre ore abbondanti, e le poltrone della Fonderie di Moncalieri piacerebbero a Wagner, che voleva tenere il pubblico sulle spine. Si replica fino al 28.
Masolino d'Amico