di Dmitrij Sostakovic
direttore: James Conlon
regia: Lev Dodin, scene e costumi: David Borovsky
con Vladimir Vaneev, Vsevolod Grivnov, Jeanne-Michèle Charbonnet
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
71° Maggio Musicale Fiorentino
Firenze, Teatro Comunale, dal 21 al 26 giugno 2008
censurata da Stalin
Non sempre la ripresa a lunga distanza di uno spettacolo eccellente va a buon fine, troppe variabili intervenendo a modificarne l'identità. Ma questa volta il Maggio Musicale Fiorentino ha fatto centro pieno, riportando in scena la sua Lady Macbeth del distretto di Mzensk di Sciostakovic nel famoso allestimento che dieci anni fa vinse il Premio Abbiati, regista Lev Dodin, scene di David Borovsky, direttore (allora) Semyon Bychkov.
Oggi sul podio c'è il bravissimo James Conlon e naturalmente diversa la compagnia vocale, tutti partecipi e portatori di sangue nuovo nella realizzazione, la cui continuità è comunque assicurata dalla presenza di Dodin, richiamato a montare lo spettacolo. Borovsky è scomparso due anni fa, ma la sua scena, con l'indimenticabile fattoria contadina, piena di anfratti e trabocchetti per gli sviluppi e sotterfugi della cruenta vicenda, è stata ripresa fedelmente da Alexander Borovsky, riuscendo infine a uno spettacolo «fuori serie» che onora quest'opera, fra le più grandi di tutto il Novecento. Solo tre repliche (l'ultima domani), ma è augurabile che il Maggio la inscriva nel suo repertorio e che altri teatri italiani possano vederla, come modello di un accordo di componenti musicali, drammatiche e sceniche che si alimentano a vicenda.
Al suo apparire nel 1936, la Lady Macbeth raccolse subito una serie di trionfi, in patria e all'estero, ma il suo corso, come si sa, fu bloccato da Stalin per la realistica scabrosità della vicenda, derivata da una novella di Nicolaj Leskov, con alcune assonanze shakespeariane; la protagonista Katerina, qui Jeanne-Michèle Charbonnet, voce più espressiva, come ci vuole, che bella, avvelena il suocero, poi fa fuori il marito con l'aiuto dell'amante, poi uccide l'amica di costui trascinandola nelle profondità di un lago dove essa stessa scompare; si aggiungono fustigazioni, tentativi di stupro, polizia corrotta e altre amenità che ovviamente non potevano piacere al Tiranno, fra cui il celebre episodio dell'amplesso di Katerina e Sergej trasferito in uno squarcio sinfonico di travolgente violenza fonica.
Ma è impressionante come tutto scorra con rigore epico, senza ombra di compiacimenti, né masochistici né erotici: come se Sciostakovic, non ancora trentenne, avesse trovato una storia in cui poter scatenare tutta la sua vena iraconda, il suo demonismo beffardo contro tutto e tutti. Eppure è incredible quanti ricordi della buona vecchia opera russa circolino in questo inferno: trasformati e ironizzati, come i cori superlativi, il solito ubriaco, ma non al punto da non lasciarne un sentore che accentua ancora la distanza. C'è poi sempre il problema della protagonista, spesso sentita come una vittima dell'oppressione sociale e maschile; anche Sciostakovic, eliminando dal libretto un ulteriore e più odioso omicidio presente nel racconto, manifesta un orientamento positivo al riguardo; e anche la regìa di Dodin inclina, se non ad assolverla, a comprendere Katerina, la sua solitudine, il rifugio nei suoi sogni; ma senza farne una eroina, restando il fatto che tutta la grande musica dell'opera si accende a contatto con il disperato realismo e la discesa alle zone infere. Spunti e interrogativi eccitati da questa palpitante esecuzione, dove bisogna almeno ricordare i nomi degli altri interpreti principali, Vladimir Vaneev, Vsevolod Grivnov, Sergej Kunaev.
Giorgio Pestelli
Alla sua prima apparizione sul palcoscenico del più importante teatro catanese, Lady Macbeth del distretto di Mtsensk, ha avuto una lusinghera accoglienza da parte del pubblico. Forse, trattandosi dell’inaugurazione della stagione lirica 2007, qualcuno avrebbe gradito una partitura più incisiva magari più popolare e intellegibile; ma anche se l’approccio musicale non è tanto facile e se una certa prolissità del finale non la rende di pronta digestione per tutti, è da dire che si tratta certamente di una delle più belle partiture espresse nella seconda metà del Novecento. In più, non si debbono perdere di vista le accoglienze “ufficiali” della gerarchia di regime che causarono un pericoloso, grave scivolamento politico dell’Autore, considerato, prima dell’esordio di Lady Macbeth, il compositore-simbolo della dittatura stalinista e invece – a causa di questa nuova opera – letteralmente demolito dalla critica di regime, Stalin in testa. Da allora, Sciostakovich si ritenne in pericolo di vita e, temendo anche per i suoi familiari, per evitare qualsiasi anche involontaria trasgressione, non scrisse più per il teatro in musica. Comunque, è da dire che, al di là di alcune incoerenze registiche (per esempio, la famiglia del milionario Boris abita in una stamberga!) tutto, nell’allestimento di cui parliamo, è andato per il verso giusto, soprattutto con riferimento alla numerosa compagnia di canto, i cui componenti erano tutti di primordine, fin da Aira Ruane, nel ruolo protagonistico di Katerina Izmailova [nome dal quale, ancora oggi, in molte nazioni dell’Europa orientale, prende titolo l’opera n.d.a.]. E non dimenticando Samson Izjumova (Boris), Roman Muratvsky (Sergej) nonché Romans Polisadovs nei panni del Pope, artisti che vorremmo rivedere e risentire ancora. Corposa, aggressiva e trascinante la direzione orchestrale di Martins Ozolins, perfetti il coro e l’orchestra, ed esteticamente coerenti le scene e i costumi. Insomma, uno spettacolo di notevole valenza, arricchito dalla presenza del Ministro della Cultura e dell’ambasciatore della Lettonia ma anche da quella di molte autorità politiche e militari.
Michele La Spina