regia di Manuel Giliberti
con Carmelinda Gentile, Deborah Lentini, Francesco Di Lorenzo, Davide Sbrogiò, Laura Ingiulla, Vladimir Randazzo
scena e costumi Rosa Lorusso; disegno luci Elvio Amaniera; organizzazione Mattia Fontana
Catania, Teatro del Canovaccio di Catania, 10 marzo 2015
Bisogna davvero dire bravi a quel manipolo di personaggi con in testa Salvo Musumeci e poi Saro Pizzuto, Giuseppe Calaciura, Eliana Esposito, che hanno fatto ri-vivere da alcuni anni nei meandri della vecchia Catania, in un palazzo del '700 al n°12 della Via Gulli, un teatrino di 54 posti con le volte a crociera, cui hanno dato il nome di Teatro del Canovaccio, molto amato da due attori etnei recentemente scomparsi come Mariella Lo Giudice e Piero Sammataro. Il gruppo paga un affitto, Musumeci ha assunto il ruolo di direttore artistico e con una manciata di euro della regione siciliana ha il coraggio d'allestire del piccoli cartelloni teatrali. Invitato dal Manuel Giliberti, ho assistito assieme a dei vecchi attori e amici che mi fanno compagnia nelle mie scorribande catanesi, ad un suo delizioso spettacolo titolato In cima al Campanile, molto applaudito dal pubblico, ruotante attorno a tante schegge delle opere funamboliche di Achille Campanile e interpretato da un sestetto di attori siracusani, davvero in palla, che rispondono ai nomi di Carmelinda Gentile, Deborah Lentini, Davide Sbrogiò, Laura Ingiulla, Vladimir Randazzo, Francesco Di Lorenzo. Un modo intelligente da parte di Giliberti di giocare sul cognome dello scrittore e osservare idealmente con lui dall'alto d'un campanile, le spiritose tragedie umane che vivono gli esseri mortali, spesso loro stessi soggetti involontari di esilarante divertimento per via della nostra sfaccettata lingua italiana in grado di creare fraintendimenti e incomprensioni. Come nel caso d'un cliente al bar che chiede dell'acqua "minerale" e il cameriere risponde se la vuole "naturale", diventando i due aggettivi motivi di diverbio dialettico e dunque di riso. Altre volte, varcando il Teatro dell'assurdo, un signore entra in un negozio di borse per fare un regalo alla sua donna e la commessa presentandogli un'infinità di modelli, il poveretto finirà di sceglierne una qualunque per regalarla alla zia. O come ci si possa ugualmente accontentare, essere felici e convolare a nozze, allorquando una giovane donna nel provare il suo il suo abito da sposa avverte chiaramente che la sua voce si sta mascolinizzando crescendole pure la barba in faccia e subito soccorsa con una pozione miracolosa per farla tornare alla normalità, nel trambusto generale la berrà il futuro sposo, metamorfosandosi lui in una donna e lei in un uomo. I calembour, i giuochi di parole su oggetti e persone cui hanno attinto i vari Petrolini Totò e lo stesso Frassica, sono entrati oggi nel gergo quotidiano e gli esempi si sprecano, come quando l'autore fa dire ad Archimede "datemi un punto d'appoggio e vi solleverò il mondo" e a Galileo gli fa esclamare, in merito all'oscillazione del pendolo, che il mondo si muove. E non si tralascia qui lo sketch della cronista mondana che scriverà il suo articolo su un incendio come se in quel luogo da tragedia si stesse svolgendo un party del jet-set. L'augurio mio ai gestori di questo gioiellino di Teatro del Canovaccio è che possa avere vita lunga e che possa proporre oltre che spettacoli comici e divertenti come questo anche altre pièces che riguardino la nostra drammaturgia contemporanea.-
Gigi Giacobbe