di Eduardo Scarpetta
con Rino Di Martino e Antonella Morea
scene Antonio Verde
costumi Giusi Giustino
luci Salvatore Palladino
regia Pino Carbone
produzione Fondazione Teatro di Napoli
Napoli, Piccolo Bellini 28 dicembre 2016
Il testo è fedele: ripreso in ogni passaggio. Li Nipute de lu Sinneco, famosa farsa scritta da Eduardo Scarpetta (papà naturale dei De Filippo), mantiene tutta la sua comicità nella rilettura offerta da Antonella Morea e Rino Di Martino (per la regia di Pino Carbone) al pubblico del Piccolo Bellini.
Anzi, la nuova messa in scena svela ed esalta gli ingredienti più esilaranti del testo, rendendoli protagonisti di una specie di esperienza laboratoriale cui gli spettatori sono invitati ad assistere. Un discorso, potremmo dire, meta teatrale, in cui lo spettacolo riflette su se stesso e sul proprio linguaggio.
Così, i bravissimi ed esperti Morea e Di Martino interpretano il copione di Scarpetta come stessero provando. Portano in scena tutti i personaggi, a turno, mettendosi nei loro panni in maniera solo simbolica (attraverso pochi e rappresentativi oggetti). Naturalmente, i due attori dedicano la maggior parte del tempo a Felice (mitico Sciosciammocca, maschera del teatro scarpettiano) e a sua sorella Silvietta. Impersonano, cioè, principalmente i due discoli nipoti che vogliono ottenere i favori e l'eredità dello zio, sindaco di Pozzano (don Ciccio Sciosciammocca). I ragazzi, nati da una relazione mai approvata dal primo cittadino tra suo fratello e un'erbivendola, sono cresciuti senza incontrare il dovizioso consanguineo, ma improvvisamente (rimasti orfani di entrambi i genitori) hanno bisogno di tutto il suo supporto (non soltanto economico).
Così, la commedia si snoda attraverso equivoci e scambi di persona: il sindaco non ha idea dell'aspetto del suo diletto nipote maschio Felice, né di Silvietta, da lui mal giudicata a priori per il sol fatto di essere donna (quindi, ribelle e inaffidabile). Ecco che i due ragazzi (giunti al cospetto del facoltoso e rispettabile parente) si invertono i ruoli, al solo scopo di ingannare lo zio nascondendogli i propri, rispettivi errori di gioventù.
Come si diceva all'inizio, la rilettura affidata a Morea e Di Martino rispetta il testo originale e non ne stravolge l'intreccio: ne salva sia i momenti poetici che quelli più squisitamente grotteschi. Tuttavia, la regia di Carbone pone i due protagonisti di fronte a se stessi: rispetto alla farsa scarpettiana, dunque, offre maggiore spazio alla riflessione, anche malinconica. Attraverso Silvietta, si osserva una condizione femminile di subalternità, mentre Felice ci racconta quei sentimenti di viltà e debolezza che (sebbene ingenui) possono condurre a ironie e ingiustizie.
Il tutto condensato in sessantacinque minuti assolutamente godibili e impreziosito da un'appassionata gemma canora della brava Morea.
Giovanni Luca Montanino