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LETTERE A BERNINI - regia Marco Martinelli

Marco Cacciola in "Lettere a Bernini", regia Marco Martinelli. Foto Enrico Fedrigoli Marco Cacciola in "Lettere a Bernini", regia Marco Martinelli. Foto Enrico Fedrigoli

di Marco Martinelli
in scena Marco Cacciola
disegno luci Luca Pagliano; scenografia Edoardo Sanchi
musiche originali e sound design Marco Olivieri
ideazione Marco Martinelli, Ermanna Montanari
regia Marco Martinelli
Coproduzione Albe / Ravenna Teatro – Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
Alla sala Elonora Duse del Teatro Nazionale di Genova dal 28 al 30 gennaio

www.Sipario.it, 29 gennaio 2025

Sotto la Cupola-cielo si slancia il tormentato Baldacchino mentre il lungo Colonnato sembra abbracciare, con la Piazza, il mondo intero. Bellezza che accade oltre il Tempo e la Storia, oltre la vita all'apparenza.

Ma solo all'apparenza perché quella dell'Arte è una bellezza che ha una Storia e soprattutto una Genealogia (la Cupola di Michelangelo, il Baldacchino e il Colonnato di Gian Lorenzo Bernini), è una bellezza che è materia polverosa, che ha dunque una vita umana e con essa inscindibile una morte altrettanto umana, concreta, materica e innervata col sangue, anzi è spesso, come scrive il drammaturgo, “cacata” con il sangue della propria sofferenza.

Ma Lettere a Bernini, la bella drammaturgia con cui Marco Martinelli approda (o ri-approda) ad un teatro per così dire più 'tradizionale', non è tanto e soltanto una riflessione sull'Arte, pur essendola intrinsecamente, è io credo soprattutto una riflessione sull'Artista, sulla sua umanità, sul desiderio che porta con sé insieme alle sue mille contraddizioni, è una riflessione dunque sul rapporto tra Arte e Vita, che l'artista 'patisce' su di sé.

Lo stimma più evidente di questo rapporto, nei suoi riflessi psicologici ed esistenziali, ma anche sociali e politici, è la relazione con il Potere, che tesse la trama dell'intera narrazione, quel potere che dispone e consente ma insieme controlla e censura, e dentro di essa relazione, in particolare, è il racconto della 'resistenza' che l'artista oppone, la resistenza che, con la sua libertà creativa, oppone al fluire del circuito elettrico di quel potere, 'surriscaldandosi' e producendo quelle mille scintille che tutti noi spesso percepiamo in una architettura, in una scultura, in un quadro ed anche sul palcoscenico di un teatro.

Gian Lorenzo Bernini, e a lui Marco Martinelli arriva, come ha lui stesso dichiarato, appunto per 'resistenza' partendo dal suo rivale/specchio Francesco Borromini, era un grande artista ed era un uomo contraddittorio, capace di illuminazioni e insieme di violenza, avido di 'bellezza' ma anche di denaro e di potere, reciprocamente 'sgomitante' nemico dei suoi amici e colleghi, in fondo incapace di risolvere quella contraddizione (il Potere mi dà da vivere ma rischia di 'predarmi' la vita) di cui è sempre stato prigioniero.

Si mostra poi, in queste Lettere che sono il plot che giustifica l'intero racconto scenico, misogino e intollerante con le 'femmine', disposto a tutto per affermare la sua preponderanza su di esse, che sia il tentato omicidio del fratello nel caso della sua vecchia amante, ovvero il 'furto' contrattuale nel caso di quella grande intagliatrice di lapislazzuli, artista come lui, che fu Francesca Bresciani (un nome che pochi conoscono, chissà perché?).

Sono soprattutto di quest'ultima le lettere, di protesta e rivendicazione a Cardinali e potenti vari, che smascherano le ferite del 'Bernino', architetto, scultore e anche scrittore di commedie (!), ne ritagliano i contorni dolorosi, come lo scalpello che dà calore e vita alla gelida apparenza del marmo.

Sono quelle Lettere, però, anche un medium di consapevolezza che alla furia del confronto violento sostituirà alla fine la pietas, di sé e degli altri, quando giungerà la notizia della morte per suicidio dell'odiato(ammirato) rivale Borromini, spezzato forse da quella lotta che ferisce lo stesso Bernini, ma lasciando sospesa la domanda che ha attraversato le loro vite (e con quelle certamente anche le nostre vite): a chè e perché?

Non può peraltro non ricadere in tutto questo, credo, una riflessione, fosse anche in parte inconsapevole, da parte di Marco Martinelli su se stesso in questi tanti anni di facitore di teatro, soprattutto in quell'ultima domanda inevasa in una sorta di 'bilancio' in cui traspare inevitabilmente melancholia.

Un bilancio ovviamente che non è 'biografia', ma, poiché come lui spesso dice “io, sono molti”, riguarda i tanti che popolano il suo mondo e il suo teatro, a partire da Ermanna Montanari che ha condiviso l'ideazione anche di quest'ultima drammaturgia, e in essi i tanti compagni di strada del loro “Teatro delle Albe” e i molti personaggi che nel suo teatro hanno in questi cinquant'anni preso vita, artista e artigiano che si specchia in un artista artigiano così diverso da lui eppure, proprio per questo, così rivelatore.

La rivoluzione dell'arte e l'arte della rivoluzione in fondo è “piantare un melo sulla collina”, anche se appare inutile.

Una scrittura, questa di Marco Martinelli, ricca e articolata, direi piena di riflessi linguistici e sintattici, tra alto e basso, tra lingua e dialetto, costruita per sottrazione come una scultura.

Ne nasce, nella scenografia di Edoardo Sanchi, uno spettacolo attraente nella sua complessità semantica che alterna luogi diversi senza mai cambiare luogo, che cerca, anche attraverso il video, sorta di inquietante 1984 orwelliana immagine dell'arte, qualcosa sopra, sotto o a lato delle 'quinte', in un ambiente luci di Luca Pagliano che ben dosa l'ombra che circonda sempre la luce, e sulle  musiche insieme avvolgenti e taglienti nel sound design di Marco Olivieri.

Decisamente buona, dentro un testo appropriatamente strutturato, la prova attoriale di Marco Cacciola, credibile e appassionato in mimica, voce e prossemica ma anche capace di improvvisamente alienarsi per meglio guardarsi.

Ospite gradito del Teatro Nazionale di Genova in una sala Eleonora Duse non piena come avrebbe meritato, alla prima uscita dopo l'esordio di Ravenna, poi in tournée. Molti e meritati gli applausi al protagonista e all'autore regista.

Maria Dolores Pesce

Ultima modifica il Martedì, 04 Febbraio 2025 06:30

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