da Preghiera per Cernobyl di Svetlana Aleksievich e
Nagasaki, racconti dell'atomica di Kyoko Hayashi
di e con Elena Arvigo
scene e costumi Elena Arvigo
Livorno, Teatro della Brigata 28 gennaio 2018
"I monologhi dell'atomica" andato in scena al Teatro della Brigata di Livorno è un spettacolo denso di emozioni tragiche in cui però nel segno di una morte sempre presente - il tutto infatti prende forma da due avvenimenti storici: il lancio della bomba atomica su Nagasaki in Giappone e l'esplosione della centrale nucleare di Cernobyl in Ucraina - si afferma con forza e tra i personaggi di cui di volta in volta l'Arvigo veste i panni una semplice quanto dirompente verità, tanto più che i fatti narrati sono reali: la felicità è una cosa così semplice.
Quello che l'Arvigo mette in scena è un spettacolo che partendo dai grandi fatti della storia ci ricorda che quest'ultima è fatta di persone, delle loro fragili emozioni, delle loro dolorose illusioni, e con una sensibilità straordinaria riesce a trasmettere tutto questo caleidoscopio di emozioni in maniera così naturale che lo spettatore fin dalle prime battute viene travolto e rapito.
Il tutto in una scenografia semplice, ma di forte impatto evocativo come il tavolo posto sulla scena che grazie ai detriti che vi sono posti sopra diventa simbolo ora della città distrutta, ora di uno spoglio cimitero.
I personaggi che vengono raccontati sono gli ultimi e gli indifesi nella società del tempo e pur mantenendo una loro dignità e cercando di fare il possibile per salvare sé stessi e gli altri vengono travolti ineluttabilmente dalla Storia.
Gli unici strumenti di salvezza quindi diventano il ricordo e la memoria elementi imprescindibili di un'umanità troppo spesso dimentica; un modo questo per responsabilizzare lo spettatore, rendendolo partecipe di un dolore che potrebbe sentire lontano e non suo e che è invece così reale e attuale.
Scrive Svetlana Aleksievich "Più di una volta ho avuto l'impressione che in realtà io non stessi parlando del passato ma che stessi annotando il futuro."
Chissà se l'uomo avrà memoria della sofferenza che ha già causato.
Matteo Taccola