di Paulina Mikol Spiechowicz
adattamento testi Alessia Siniscalchi (con rielaborazioni da George Bernand Shaw, Dario Fo, Franca Rame, Euripide, Grillpartzer)
regia Alessia Siniscalchi
musica live Phil St. George e Cristina Barzi
opere Valerio Berruti
luci Benjamin Sillon
foto di scena e foyer Giovanni Ambrosio e Black Spring Graphics Studio (con contributi fotografici di Luca Florino)
movimenti Ivana Messina
voce Vincent Callot Siniscalchi
video Piero Viven, Lorenzo Taidelli
materiali di scena Ania Martchenko
con Felicie Baille, Francesco Calabrese, Alessandra Guazzini, Fanny Guidecoq, Zelia Pelacani Catalano (e in alternanza Chiara Gistri)
produzione Kulturscio’k (con il sostegno di “la Ménagerie de Verre StudioLab”, Snaporaz Verein / Federica Maria Bianchi, Kulturscio’ k Italia / Francia, Kulturfactory di residenze internazionali, SPEDIDAM, Artgarage)
al Teatro Bellini di Napoli. 14 e 15 gennaio 2020
«Imagination is the beginning of creation» dice Eva e in questo spettacolo davvero l’immaginazione si spinge sempre più oltre mostrandoci il mondo adulto e il mondo infantile a confronto, attraverso 17 momenti che come frames cinematografici rappresentano la dualità femminile di Eva/Medea e l’uomo padre e fuggitivo, che qui incarna Adamo, Caino e Giasone. La regista, Alessia Siniscalchi, napoletana, ma che attualmente opera in Italia e in Francia, ci offre una reinterpretazione molto contemporanea del mito di Medea, sviluppandolo all’interno del filone dell’atipico e della mescolanza di stili e di spunti, rendendolo incontro fra musica (tra l’altro molto interessante e armoniosa), movimento e recitazione in lingue diverse, tra italiano, francese e inglese. Gli interpreti accolgono il pubblico già all’entrata, nel foyer, tramite movimenti lenti che si confondono l’uno con l’altro e poi accompagnano il loro recarsi in platea, collocandosi sulle gradinate di accesso, un po’ a somiglianza di quelle statue viventi che a volte incontriamo per strada in centro o in alcune rappresentazioni artistiche. Tramite questa messa in scena si vuole sottolineare anche la difficoltà dell’essere genitori e responsabili di nuova vita e l’essere invece figli, tra l’innocenza prima e la conflittualità generazionale poi. Tutto quello che la rappresentazione ci mostra è però velato da una sorta di codice da decifrare, come un linguaggio prettamente teatrale che ci rivela la confusione della contemporaneità e che ha dentro di sé i significati profondi del quotidiano, nascosti dalla mescolanza delle arti e dei movimenti che si sviluppano davanti agli spettatori. Ad accompagnare questa esperienza artistica, le opere di Valerio Berruti, presenti sia nel foyer che sul palco, mentre dai palchetti del primo piano continuamente si illuminano i volti dei performers che accompagnano le scene.
Francesca Myriam Chiatto