Centro Teatrale Bresciano
Teatro Quirino
Compagnia Molière
presentano
MONI OVADIA
GIULIO CORSO
MOBY DICK
di Herman Melville
adattamento Micaela Miano
con
Tommaso Cardarelli, Nicolò Giacalone, Pap Yeri Samb, Filippo Rusconi,
Moreno Pio Mondì, Giuliano Bruzzese, Marco Delle Fratte
scene Fabiana Di Marco
costumi Alessandra Benaduce
musiche Massimiliano Pace
foto di scena Riccardo Bagnoli
video Lorenzo Bruno e Igor Renzetti
regia GUGLIELMO FERRO
Roma, Teatro QUirino dal 1 al 13 aprile 2025
Parliamo di Moby Dick in scena al Quirino di Roma. Guglielmo Ferro, che ne firma la regia, si è scelto un compito tutt’altro che facile. E però, per quello che riguarda il suo ruolo, ha portato a casa un buonissimo risultato. Perché la messinscena ha saputo rendere teatrale un romanzo ricco di descrizioni e di riflessioni, intriso com’è di metafisica e simbologia come nello stile del Melville da tutti più frequentato. Complice l’adattamento di Micaela Miano, questa riduzione ha voluto, giustamente, focalizzarsi sui personaggi che muovono l’intera vicenda: Achab e il suo alter ego, Starbuck. Mentre la famigerata balena bianca Moby Dick è evocata: uno spettro inseguito, percepito quando il Pequod le si avvicina, ma mai visto dal pubblico. La perfida creatura, così la descrive Achab nei suoi accessi di follia e odio mentre ne parla, è descritta: ora dagli avvistamenti degli altri marinai, ora da coloro che osservano il capitano nel suo ultimo duello con la belva dei mari. Ismael, personaggio al quale è affidata la narrazione nel romanzo, e dunque l’evocazione dell’intera vicenda, si riappropria del suo ruolo originario quando Achab e Starbuck escono di scena. Come a voler restituire, a spettacolo concluso, alla letteratura un suo capolavoro che si è preso solo in prestito, e con immenso rispetto. Forse nella scelta di non vedere mai Moby Dick in tutta la sua potenza, lasciandola solo al potere evocativo delle parole, ha fatto perdere un po’ di climax allo spettacolo, specie nella scena del duello finale. Ma si tratta di inezie, cavilli di poco conto. Quello che non ha funzionato è stato Moni Ovadia, il quale ha restituito un Achab in bianco e nero, privo di colori e sfumature. Questo capitano, così complesso perché è difficile capire se sia un illuminato, o un folle, o un uomo accecato dalla vendetta e dal suo io avvelenato da risentimento verso una balena che è sempre riuscita a sfuggirgli e a segnarlo a vita strappandogli una gamba con la sua bocca: quest’uomo, così come interpretato da Ovadia, o urla o parla a voce alta fra sé. Dà ordini, la voce descrive sentimenti irosi senza incarnarli, la mimica del viso e del corpo paiono non aderire al personaggio. Viene da chiedere: cos’ha capito Ovadia di Achab? In che modo ha cercato di familiarizzare con lui, diventandone da attore il padre confessore (come diceva Eduardo De Filippo)? Di altra caratura l’interpretazione di Starbuck affidata a Giulio Corso, il quale ha intuito il dissidio del suo personaggio nonché il difficile compito che gli spetta: fare luce sulla follia accecante di Achab e, al contempo, restituire al capitano la vista ormai perduta senza dimenticare ciò che trascende entrambi: il volere divino al quale ogni uomo deve inchinarsi. Non in modo ottuso e silente, ma interpretandone rettamente i segni. Ne è emersa, da parte di Corso, un’interpretazione del suo personaggio ricca di dubbi, coloratissima, piena di sensibilità, molto umana. Quasi esclamando, attore e pubblico: Starbuck c’est moi. Pierluigi Pietricola