di Saverio Tavano
Regia: Saverio Tavano
Interpreti: Dario Natale e Gianluca Vetromilo
Produzione Scenari Visibili
Premio Pradella Teatro dei Filodrammatici 2018. Miglior spettacolo Festival Inventaria 2014.
Premio contro le mafie del MEI 2014. Secondo premio al Festival Teatrale di Resistenza Museo Cervi
Produzione Scenari Visibili
al Clan Off Teatro 25-26 gennaio 2020
In questi ultimi anni la letteratura, il cinema, il teatro s’interessa alla famiglia. Lo si nota pure dalle tante inchieste giornalistiche che appaiono su quotidiani e riviste che fanno il punto sul suo status. Mario Perrotta concluderà il prossimo anno al Piccolo Teatro di Milano una trilogia sulla famiglia iniziata Nel nome del padre, focalizzando poi il ruolo della madre e terminerà infine con quello dei figli. Michele Serra ha scritto un libro sostenendo che la nostra è la generazione degli sdraiati, un mondo ricco di misteri che non risparmia niente ai figli e ai padri. In queste settimane è uscito Figli film di Giuseppe Boito con la coppia Mastandrea-Coltellesi e fra poco uscirà Gli anni più belli di Muccino che copre un arco di 40 anni di vita italiana sui figli di ieri diventati oggi padri. La telefonia mobile ha cambiato il mondo e ha cambiato in particolare i nostri figli cui è cresciuta nelle mani un’appendice che si chiama smartphone, in grado di isolarli e allontanarli da una realtà vera e reale che appare loro distorta, certamente lontano dagli stereotipi di felicità che si sono immaginati. Dico questo perché il lavoro Patres (plurale latino di pater che può indicare oltre che i padri anche i vecchi, i saggi, i patrizi, i senatori) scritto e messo in scena da Saverio Tavano al Club Off Teatro di Messina sembra qualcosa che appartiene alla preistoria, certamente ad una realtà lontana da quella di oggi, in cui un ragazzo cieco (Gianluca Vetromilo), con la caviglia legata ad una corda, non per crudeltà del padre, ma perché non possa correre dei rischi allontanandosi troppo dagli spazi segnati, sembra un Telemaco che accarezza un inesistente cane Argo, al quale basta solo stendere le mani in avanti per vedere un mare azzurro diverso dal cielo, chiedendosi quale sarà il colore dell’orizzonte. Una linea sfocata sembra, come quella che lo separa dal padre, che ora c’è ora non c’è, una sorta di Ulisse senza più la sua Penelope morta anzitempo, vera pena del figlio che la rievoca in più momenti. Quando entra il padre in scena (Dario Natale) danzando al ritmo d’una vivace musichetta, abbraccia il figlio cercando d’insegnargli come si balla. Poi raccoglie da un filo dei panni stesi e gli consegna dei nuovi indumenti. Al figlio piacciono le storie che gli racconta il padre. Storie marinare, alcune vere come quella motonave rossa carica di rifiuti tossici arenatasi su una spiaggia del Tirreno altre divertenti come le barzellette mentre mangiano un pezzo di pane o quando il padre lava il corpo del figlio. Il denominatore comune dello spettacolo è un senso di mancanza, d’una nostalgia verso ciò che non c’è più o non si può raggiungere: Come la madre che li ha lasciati soli o Santo Domingo, isola di pesci e di femmine certamente più contente dei maschi, che il padre insegue come un sogno, accontentandosi intanto d’una bambola gonfiabile che il figlio accarezza svogliatamente senza eccitarsi, mentre si diffondono parole e musiche della canzone Storia d’amore di Adriano Celentano. E alla fine mentre il padre esce, non si sa se per pescare o imbarcarsi su una nave, il figlio resta in mano non con un telefonino ma con un modellino d’una nave rossa. Il lavoro di Tavano nella lingua calabrese di Lamezia Terme ha ricevuto vari premi e sono bravi i due protagonisti molto applauditi alla fine.
Gigi Giacobbe