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PRIMA LUCE DI NERUDA (LA) - regia César Brie

"La prima luce di Neruda", regia César Brie "La prima luce di Neruda", regia César Brie

di Ruggero Cappuccio
regia e adattamento César Brie
con Elio De Capitani, Cristina Crippa
e con Francesca Breschi, Silvia Ferretti, Umberto Terruso
musiche e canti eseguiti dal vivo da Francesca Breschi
suono Emanuele Martina 
luci e scena Nando Frigerio
costumi Alessia Lattanzio 
video Paolo Turro
assistente alla regia Alessandro Frigerio
produzione Teatro dell’Elfo, Fondazione Campania dei Festival
in collaborazione con l’Istituto Cervantes
Teatro Elfo Puccini, Milano, 27 maggio 2025

www.Sipario.it, 7 giugno 2025

Si può dire che quella di Cesar Brie sia una storia-stile che si concretizza nella scelta di elementi peculiari e nell’immaginare lo spazio scenico come un vuoto da riempire con le variazioni del rapporto elemento praticabile-corpo dell’attore? E, se sì, come attecchisce nella terra ricca di sostanze minerali degli attori-storia dell’Elfo la pianta-stile del regista Brie? E su quella dei giovani?

Questa scena così densamente agita dagli attori tende, in fondo, a un preciso obiettivo: restituire mobilità al punto di vista di chi guarda, sfidando la rigidità dell’impianto scenico frontale. Non è arduo scorgere come questa modalità derivi dal montaggio cinematografico (e dal lavoro di  un Maestro come Eugenio Barba). 

Anche in questo spettacolo, nel corso di una sequenza e in piena battuta, possiamo vedere gli attori cambiare posizione/postura e disporsi ora in inquadratura frontale ora di tre quarti, sollevarsi o discendere verso il pavimento. Il principio è semplice, anche se la sua applicazione richiede grande maestria. Non si tratta di movimento per il movimento, ma di precisi riorientamenti nello spazio, condotti anche manovrando gli elementi praticabili, poveri, della messa in scena. 

Così gli attori, nel contempo servi di scena, sottopongono gli elementi a peripezie interne alla scrittura scenica e li predispongono a cortocircuiti di senso. E si noti come la scelta di elementi tipici sia anch’essa una cifra stilistica: in questo caso due testiere di letto mobili, che stanno per sé o per cancelli, grate ecc.; due casse di legno, bianche, lunghe, usate come letti, tavola mortuaria, panche di treno ecc.

Difficile non ammettere che il sistema funzioni; meno difficile constatare quanto il risultato possa apparire, in questo caso, e malgrado la grande bravura degli attori, a tratti macchinoso; l’estrema precisione a orologeria evidenziare  a volte il meccanismo; il sentimento connesso al discorso amoroso (e politico) spingersi al limite del sentimentalismo come per compensare la troppa freddezza del disegno in corso. 

La storia è quella dell’amore tra il poeta cileno Pablo Neruda e la cantante Matilde Urrutia. La doppia coppia di attori – anziana (Elio De Capitani, Cristina Crippa) e giovane (Umberto Terruso, Silvia Ferretti) – fornisce un raddoppiamento di quella dei personaggi colti in due diversi momenti della vita; mentre gli attori maschi si impegnano anche in una serie di altri ruoli minori funzionali al procedere della vicenda. 

Del romanzo di Ruggero Cappuccio vediamo trasposti l’espulsione del poeta dall’Italia; le conseguenti proteste in parlamento; il ritorno in Cile; il colpo di stato di Pinochet; la morte del poeta. I canti di Francesca Bereschi seguono da presso l’azione intervenendo con frequenza regolare, anche sottolineando le numerose sequenze coreografate; tanto che, azzardando un rovesciamento suggestivo, si potrebbe a volte quasi intenderli come vettori che narrano l’azione invece di commentarla, eseguiti da una cantastorie alle prese con attori viventi invece che con tableaux

Un discorso a parte meritano le due scene in cui gli attori imitano il movimento della marionetta: nelle note di sala il regista afferma che “nella tradizione giapponese un sentimento o dolore troppo forte si esprime trasformando l’attore in marionetta”. Nello spettacolo però questo appare meno una necessità che un espediente o un esercizio di stile. Più che straniare la possibile enfasi prodotta dalla resa teatrale del tema amoroso o politico ci pare si corra il rischio, per così dire, di enfatizzare lo straniamento. 

In questo senso è molto più efficace, e a suo modo commovente – anche per il sottotesto biografico inerente al loro lungo sodalizio – il pudico, semplice bacio e le contenute effusioni che, sul finale, nelle scene della vecchiaia e malattia del poeta, si scambia, nei panni di Neruda-Urrutia, la coppia in vita e in teatro De Capitani-Crippa. 

Franco Acquaviva

Ultima modifica il Lunedì, 23 Giugno 2025 08:48

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