di Antonio Tarantino
con Maria Luisa Abate, Marco Isidori, Paolo Oricco
scena e costumi: Daniela Dal Cin
direzione: Marco Isidori
produzione Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, Festival delle Colline Torinesi, Astiteatro
Milano, Teatro Verdi, dal 6 al 16 novembre 2007
L'estro del gruppo Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa ben si realizza in un testo dal clima surreale di Antonio Tarantino, La pace. Ecco la "miserabile vicenda": estenuati da un esilio forzato e perpetuo, privati di autorità e potere, Ariel Sharon e Yasser Arafat vanno errando in un deserto dietro la supervisione di un essere mutante – strega, puttana e madre - incollato a una ragnatela enorme (idea-lampo di Daniela Dal Cin). Uno più scalcinato dell'altro, con i brandelli di energia e di cattiveria di cui dispongono, dapprima si coprono di improperi, poi si flettono ad una specie di solidarietà, infine si ritrovano, grazie al capriccio della stridula "dea ex machina", catapultati alla base con una salvezza non meritata, ma forse con una lezione in tasca. Finale con paracadute e canzoncina. Ottimi gli attori: Marco Isidori, anche regista, è capo in kefiah impolverato, Paolo Oricco è Sharon con bandierina bianca infissa nell'elmetto, Maria Luisa Abate, ammirevole per agilità vocale e gestuale, è il triplice personaggio femminile. Maschere di lattice per i due nemici, biacca in faccia per l'infernale, ansimante incarnazione del male. Visto a Scandicci-Teatro Aurora, sarà a Roma, al Vascello, dal 1° al 13 aprile.
Mi.Cav.
La pace di Antonio Tarantino è l'ultima fatica dei Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa al Teatro Verdi di Milano fino a venerdì. Un testo poetico e ironico, tragicomico, che vede sul palcoscenico due personaggi della nostra storia più recente, Arafat e Sharon, i nemici uniti in un comune esilio immaginario tra il deserto e il mare. Simili nella sventura, grotteschi con le loro maschere, diventano l'uno il perno dell'altro. Arafat è il regista Marco Isidori, Sharon è Paolo Oricco, con tanto di casco rovesciato in testa, il simbolo del dollaro scolpito e bandierina bianca sdrucita piantata su in segno di resa. Una enorme ragnatela metallica domina la scena: è la trama del destino, della politica. Sulla tela del ragno ciondola sinuosa la Strega insonne, l'ironica Puttana, la Madre funerea, una Trinità Femmina testimone della follia della guerra.
Strega, Puttana e Madre è Maria Luisa Abate, la Voce dei Marcido. «Chi pensa il male non può chiudere occhio - dice la Strega - e io non posso cedere alla stanchezza». La coscienza del male lascia spazio alla risata beffarda della femmina di facili costumi che conosce entrambi i politici e li associa, dichiara che sono identici. Le parole amare, alte e comiche di Tarantino vivono attraverso i corpi di tre attori perfetti, in uno spazio pensato dalla scenografa Daniela Dal Cin. Al centro una alta pedana di legno, rotonda. Elemento scenico che diventa barca, orso minaccioso, barriera tra due che vagano attaccandosi e sostenendosi, in una continua altalena che fa dire: «Io non so più chi di noi due porti sfiga all'altro».
Sconfitti e stanchi, deposti dai propri parlamenti, Arafat e Sharon procedono riflettendo sul senso politico delle loro disgrazie. «Eppure il bene sarebbe la nostra unica salvezza», è la conclusione di entrambi. Il bel testo di Tarantino e l'inusuale lavoro dei Marcido Marcidorjs fanno vivere uno spettacolo pulito, dove verbo e fisicità hanno un'armonia particolare, un senso d'appartenenza da raggiungere ogni sera.