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L'IMPORTANTE È CHE CI SIA QUALCUNO: VADUCCIA – regia Marco Isidori

Maria Luisa Abate. Foto Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa Maria Luisa Abate. Foto Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa

da “L’amante” di Abraham B. Yehoshua
adattamento drammaturgico e regia Marco Isidori
interprete Maria Luisa Abate
produzione Marcido Marcidorjs Famosa Mimosa.

Sala Mercato di Genova Sampierdarena nell'ambito del XIX Festival dell’Eccellenza al Femminile 18 novembre 2023

www.Sipario.it, 20 novembre 2023

Per gettare una nuova e più intensa luce sul tragico e disperato intreccio Ebrei/Palestinesi forse questa drammaturgia dei Marcido Marcidoris e Famosa Mimosa del 2021, tratta dal romanzo L'amante di Abraham B. Yehoshua, vale più ed è più utile e profonda di molte ore di dibattiti, televisivi o in rete, politici, storici o semplicemente giornalistici.
Questo perchè la luce di Vaduccia, stra-ordinariamente e anche paradossalmente anticipatoria, dentro a ciò che, accaduto dopo, accade purtroppo ora, è puntata sul nucleo di Umanità, intesa come Genti che ancora non hanno attraversato il loro deserto, e anche di umanità intesa come sentimento irriducibile di sé, che sta al centro da sempre di quell'intreccio di popoli che trascina nelle storie dei singoli la Storia che macina il loro mondo.
Lo fa, in maniera commovente e direi malinconicamente sentimentale, a partire da un esordio che è insieme lirico e metafisico, e anche religioso dunque, quasi a ricostruire la radice dell'uomo e della donna, attraverso il mondo inanimato della pietra, metafora evidente dell'aridità dei cuori più volte sottolineata da improvvisi scarti di tonalità della voce, e quello vivente di piante ed animali, nell'Universo che si fa Natura.
Una anziana donna si risveglia, lo scopriamo man mano da quel racconto quasi biblico con cui lo spettacolo comincia, da un lungo coma di due anni, e in questo risveglio, attraverso la sua memoria che man mano recupera i ricordi di una vita, precipitano con forza e in precedenza a tutto i luoghi comuni e gli schemi che regolano, ora tragicamente, i rapporti tra due popolazioni, in fondo più simili (a partire dalla origine della lingua) che diverse, le quali condividono il desiderio e l'amore per la stessa Terra e non sembrano capaci di farsene l'uno con l'altro partecipi.
Inaspettatamente, ma forse neanche tanto sorprendentemente, lo scontro tra questi flussi di pensiero, legati alla storia collettiva, con il flusso generato dalla storia personale e familiare, legati e fatti di sentimento e relazioni affettive, produce una sorta di corto circuito in cui le figure e le identità, tenute nascoste come nel mistero non svelato di un thriller, si confondono fino a sovrapporsi l'una all'altra.
Il risveglio è dunque un ritornare alla vita ma è anche un ritornare dei sentimenti che la presenza di un giovane arabo suscita, mettendo in discussione prima e in crisi poi i pregiudizi che fanno di quel giovane uomo un nemico solo in quanto 'arabo', e infine canalizzando proprio in quella diversità un affetto inaspettato.
La riconquista di una identità diventa così una ribellione alla morte quando questa, inevitabile sempre, non dà conto e luce al sentimento della vita, ma questo sentimento assorbe e deforma mentre quella vita la viviamo. 
Quando la morte arriva, non molto tempo dopo il miracoloso ritorno alla coscienza, assomiglia allora a quello stesso risveglio di luce.
Senza scendere inopportunamente nei particolari del racconto, va detto che la drammaturgia, come del resto il romanzo cui si ispira, non dà giudizi, né politici né storici, diretti eppure il giudizio che nasce dai sentimenti e dall'umanità, che si riverbera in un Dio che, lui sì, “ha perso conoscenza”, e che riesce ad esprimere nella forza della scrittura ed in quella, pari, del transito scenico è, credo, più che evidente.
In questa messa in scena, in un certo senso, si coagula sull'attrice recitante, la sempre bravissima e unica Maria Luisa Abate, molta della sapienza teatrale dMarcidos Marcidoris che, pur tentando una sorta di esperimento dentro la narrazione, è ben visibile nella mimica, nella prossemica e nell'uso sapiente della voce che insieme riempiono la scena, riportandoci incessantemente alle figurativamente rutilanti dinamiche del loro fare drammaturgico, che qui non hanno bisogno di altro oltre alla presenza della protagonista vestita in bianco come di un sudario.
A questo riguardo è molto efficace, appunto, il lavoro di drammaturgia di Marco Isidori, che, pur nella inevitabile compressione delle cadenze nei più ridotti tempi della scena, mantiene intatta la direzione narrativa del romanzo, nulla disperdendo della sua sostanza significativa che emerge in tutta fedeltà.
Uno spettacolo di grande qualità ove quello che il regista drammaturgo chiama 'un riscatto' dalla solitudine, è anche un avvertimento ed un insegnamento collettivo, quello che sono innanzitutto la solitudine e la conseguente aridità dell'anima a produrre e a condurre al dolore, alla violenza e spesso anche alle guerre.
Uno spettacolo che guarda all'orizzonte dell'universale ma che trova nel presente una sorta di tragica conferma sperimentale.
Il pubblico ha a lungo chiamato in scena la protagonista, applaudendola con trasporto.

Maria Dolores Pesce

Ultima modifica il Mercoledì, 06 Dicembre 2023 08:48

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