di Thomas Bernhard
traduzione Eugenio Bernardi
regia e adattamento Pietro Babina
assistente alla regia Mila Vanzini
scene, luci e concept audio di Pietro Babina
costumi di Gianluca Sbicca
con Francesca Mazza, Renata Palminiello, Leonardo Capuano
visto al Teatro delle Passioni, venerdì 8 gennaio 2016
Un fratello e due sorelle, tre follie, tre solitudini, tre vittime e tre carnefici al tempo stesso: questi sono il filosofo Voss, appena uscito dal manicomio di Steihnof, portato a casa dalla sorella Dene che nutre per lui una insana passione. A rinfacciarle questo legame è la sorella Ritter che rimprovera a Dene non solo il suo attaccamento al fratello, ma anche la decisione di farlo uscire dal manicomio. L'azione si svolge in una sala da pranzo che Pietro Babina reinterpreta trasformando la tavola dove viene imbandita la cena in una sorta di catafalco rosa e l'armadio in una bara verdina: intorno una stanza in cui evocazioni bauhausiane e deperiane vorrebbero contribuire a rendere straniante, astratto non solo l'ambiente, ma quanto accade. Il tutto si svolge in uno spazio circolare che si svela all'aprirsi di una tenda, che ricorda lo stesso escamotage usato qualche anno fa da Renzo Martinelli in Prima della pensione, sempre di Bernhard. Ma cosa accade in Ritter, Dene, Voss? Va in scena l'ambiguo rapporto fra consanguinei. Dene è tutta sottomessa al fratello, è lei che ne cura i manoscritti, l'opera filosofica, è lei che lo accudisce, e probabilmente ha con lui una relazione incestuosa, fa intendere Bernhard. Tutto si compie in questo gioco al massacro, in questo triangolo in cui la sfida è continua e senza pietà alcuna. La famiglia, il riferimento a Wittgenstein, l'odiata Austria, gli attacchi all'arte e alla sua degenerazione sono una costante bernhardiana per chi ne conosce l'opera, sono l'arredamento di un pensiero che sa essere feroce e inquietante, ma a tratti anche crudelmente comico. Aspetti questi che nell'allestimento concepito da Pietro Babina appaiono se non edulcorati, perlomeno poco incisivi. Fra i tre interpreti chi meglio e con più convinzione costruisce su di sé il ruolo feroce tipico dei personaggi bernhardiani è Renata Palminiello che non sbaglia un tono, non un gesto, incarna con durezza e allampanata freddezza Dene, serva, ma al tempo stesso tiranna del fratello Ludwig che trova in Leonardo Capuano una eccessiva caratterizzazione, un recitare di facciata non altrettanto incisivo. Francesca Mazza invece sembra impacciata nel costume disegnato da Gianluca Sbicca, è come se l'attrice fosse in difensiva, facesse da spalla a Dene, in cerca di una potenza che deve ancora trovare, in cerca di un'autonomia nel rendere la sua follia che il testo richiede e che non emerge nell'orchestrazione registica. Ritter, Dene, Voss rimane lì, sospeso, uno spettacolo che fa intuire un lavoro di lettura non scontato, che dà conto della follia bernhardiana, ma alla fine non decolla, presenta una situazione, ma non dimostra di saperci entrare dentro con convinzione e adeguata incisività. Peccato.
Nicola Arrigoni