di Carlo Goldoni
regia Giuseppe Emiliani
scenografia Federico Cautero
costumi Stefano Nicolao
disegno luci Enrico Berardi
musiche Massimiliano Forza
arrangiamenti Fabio Valdemarin
Canciano, cittadino - Alessandro Albertin
Maurizio, cognato di Marina - Alberto Fasoli
Simon, mercante - Piergiorgio Fasolo
Felicia, moglie di Canciano - Stefania Felicioli
Margarita, moglie di Lunardo in seconde nozze - Cecilia La Monaca
il conte Riccardo - Michele Maccagno
Marina, moglie di Simon - Maria Grazia Mandruzzato
Lucietta, figliuola di Lunardo di primo letto - Margherita Mannino
Lunardo, mercante - Giancarlo Previati
Felippetto, figliuolo di Maurizio - Francesco Wolf
Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale
Al Teatro Metastasio di Prato, dal 3 al 6 marzo 2016
PRATO - Si è soliti pensare a Carlo Goldoni come all'ironico, talvolta acuto bozzettista di una Venezia ormai in piena decadenza, alla vigilia della compravendita fra Napoleone e gli Asburgo; un mondo dove un carnevale quasi perpetuo era l'accorta soluzione politica per garantire un minimo di status quo. In realtà, dietro le luci sgargianti, languiva una società in piena crisi, priva di qualsiasi lungimiranza.
Assieme a Le donne gelose (scritta nel 1763), I rusteghi appartiene alle poche commedie goldoniane nelle quali l'abituale comicità di maschera lascia il posto a un'ironica amarezza attraverso cui considerare certi aspetti della vita sociale veneziana dell'epoca. Pur non essendo un autore dotato di coscienza civile, Goldoni riesce talvolta a fornire interessanti e acuti spaccati della società del suo tempo, com'è appunto il caso de I rusteghi, considerato fra i suoi testi migliori.
Necessaria premessa, il Settecento fu il Secolo dei Lumi, che, con la corrente delle Merveilleuses vide il primo bagliore di una presa di coscienza femminile, con conseguente emancipazione. Un'eco che si avvertì in buona parte dell'Europa, Venezia compresa. E attraverso la vicenda di un matrimonio combinato, e la "selvatichezza" di alcuni "buoni cittadini", Goldoni fa luce sulla voglia di vivere e l'ambizione a una certa indipendenza delle dame veneziane.
Il ricco mercante Lunardo, rigidamente conservatore, dai costumi severi e morigerati, tiene sotto stretta sorveglianza la figlia Lucietta e la seconda moglie Margarita, proibendo loro persino di andare al carnevale, o di ricevere visite in casa. Suoi pari, i cittadini Simon, Canciano e Maurizio, uomini altrettanto severi, che rifuggono divertimenti e frivolezze, attenti soltanto agli affari e all'onore personale. È a Felippetto, figlio di Maurizio, che Lunardo ha deciso di dare in moglie Lucietta, senza però metterne al corrente la ragazza, e a patto che i due giovani si conoscano soltanto il giorno del matrimonio. Una condizione assurda, fermamente rifiutata da Marina, zia di Felippetto, e dalla matrigna di Lucietta, Margarita, aiutate da Felicia, loro amica e moglie di Simon. Dopo che la ragazza è stata informata del suo imminente matrimonio, il giovane verrà introdotto, mascherato come fosse una dama, in casa di Lucietta, e avrà modo di vedere la ragazza. L'amore, com'è facile immaginare, è a prima vista, anche perché Lucietta smania di sposarsi e affrancarsi dalla soffocante "tutela" paterna. L'incontro viene però interrotto dal ritorno dei quattro rusteghi, poiché quella sera Lunardo ha invitati a cena gli amici con le rispettive consorti. Lunardo percepisce il fatto come uno scandalo, e medita di rinunciare a dare Lucietta in moglie a Felippetto. Lo stesso Maurizio non apprezza l'accaduto. Ma prima di giungere a un finale facilmente prevedibile, Goldoni costruisce una commedia interessante, giocata sull'opposizione fra i caratteri maschili, al limite della bigotteria morale, e queste dame veneziane spumeggianti, sottilmente femminili, dotate di squisita civetteria che appare anche dai loro abiti sgargianti, in netto contrasto con le severe redingotes scure dei loro mariti. Due "cori" opposti, quindi: da una parte Canciano (Alessandro Albertin), Maurizio (Alberto Fasoli), Simon (Piergiorgio Fasolo), e Lunardo (Giancarlo Previati), che ridicolmente rifuggono i piaceri della vita, le feste, le conversazioni, considerati semplici frivolezze. I loro conciliaboli, per organizzare il matrimonio o per lamentarsi delle rispettive consorti, sono la caricaturale versione di una seduta del Consiglio dei Dieci, coloro che decidevano le sorti della città, così come i quattro pretenderebbero decidere delle sorti delle loro famiglie. Tutti i quattro attori offrono una prova convincente, con una recitazione misurata, dai toni che sembrano ringhi o rantoli, in linea con i caratteri dei personaggi. Loro contraltare, Felicia, moglie di Canciano (Stefania Felicioli), Margarita, moglie di Lunardo in seconde nozze (Cecilia La Monaca), Marina, moglie di Simon (Maria Grazia Mandruzzato), e Lucietta, figlia di Lunardo (Margherita Mannino); sono loro a rompere il ritmo falsamente solenne della commedia, a portarvi un tocco di grazia luminosa, con i loro caratteri forti e volitivi, tutt'altro che sottomesse ai mariti, come questi invece pretenderebbero. Si scopre infatti che Felicia si porta dietro un simpatico cicisbeo (il conte Riccardo, un apprezzabile Michele Maccagno) - che si presta ad accompagnare Felippetto da Lucietta -, oppure che Margarita compra abiti eleganti senza il consenso di Lunardo. La complicità e la solidarietà femminile, emerge chiaramente nelle scene corali di concertazione, quasi un "consiglio di guerra" per far conoscere i due giovani. Determinante l'intervento femminile, in particolare di Felicia, per far sì che lo "scandalo" della presenza di Felippetto da Lucietta venga dimenticato: Felicia tiene quindi una sorta di "arringa" finale, con cui spiega ai quattro rusteghi l'assurdità del loro comportamento, della loro severità morale, l'iniquità del controllo che vorrebbero esercitare sulle loro consorti; un monologo accorato, non privo di grazia, che finisce per far accettare il matrimonio a Lunardo e Maurizio, e a far capire l'inutilità di certi comportamenti ai quattro uomini, che, di fatto, come ne Le donne gelose, appaiono assai scialbi rispetto alle personalità delle donne, sempre pronte a difendere la loro indipendenza, nei limiti permessi dai loro tempi. Potrebbe forse far eccezione Felippetto, simbolo appena accennato della futura generazione. Che non potrà però salvare Venezia dalla sua decadenza, anche se questo Goldoni non poteva saperlo.
Ne I rusteghi, non c'è Arlecchino, non c'è la maschera che nasconde il marcio della società dell'epoca, ci sono soltanto donne e uomini messi a nudo nella loro differente concezione di uno stile di vita che sta cambiando, anche se qualcuno non se n'è accorto. Pur non potendo parlare di un Goldoni autore impegnato, si deve comunque notare la maggiore incisività di questa commedia, che il regista Giuseppe Emiliani ha allestita rispettandone il registro linguistico originale (un godibile dialetto veneziano, che forse i sopratitoli avrebbero aiutato ad apprezzare di più da parte del pubblico meno preparato), il numero dei personaggi, e la lunghezza del testo.
L'elegante scenografia, che riproduce un tipico interno borghese della Venezia del Settecento, avvicina, anche per la delicatezza delle luci, la pittura d'ambiente di Pietro Longhi, fra i più interessanti pittori del Settecento veneto. Su questo sfondo, s'intuisce una Venezia intristita, abitata da una società colta nel momento della sua decadenza, dove però le donne si distinguevano quanto a empatia, fantasia, eleganza, joie de vivre. Niente di nuovo, accade anche oggi.
Niccolò Lucarelli