di William Shakespeare
traduzione Masolino d'Amico
adattamento, regia e scene Giuseppe Dipasquale
con Mariano Rigillo, Anna Teresa Rossini, Sebastiano Tringali, David Coco, Filippo Brazzaventre, Silvia Siravo, Giorgio Musumeci, Luigi Tabita, Cesare Biondolillo, Enzo Gambino, Roberto Pappalardo
opere in scena e costumi Angela Gallaro
musiche Germano Mazzocchetti
movimenti scenici Donatella Capraro
luci Franco Buzzanca
produzione Teatro Stabile di Catania, Teatro Stabile di Napoli
Verga di Catania dal 1 al 17 aprile 2016
e poi dal 20 aprile al 1 maggio al Mercante di Napoli
Se per l'attor giovane l'Amleto è una tappa importante del suo iter artistico, il Re Lear è il personaggio che ogni attore maturo, avanti negli anni, vorrebbe interpretare. Stessa cosa può valere per qualunque regista di cartello, giusto per colmare quei vuoti che rimarrebbero tali se non li si portasse a termine. A mia memoria, credo, che né Mariano Rigillo né Giuseppe Dipasquale si siano mai smarriti tra le brume del bel tenebroso di Elsinore. Adesso invece entrambi affrontano una delle opere più complesse di Shakespeare, qual è appunto il Re Lear, certamente tra le più pessimistiche del grande William, i cui referenti possono individuarsi, per ciò che concerne il rapporto vecchio-giovane, nel De Senectute di Cicerone. Con una significativa differenza però: che nell'opera di Shakespeare s'innesta il tarlo della "pazzia" come equivalente della "saggezza": «Non avresti dovuto farti vecchio, prima d'essere diventato savio...» gli dirà il Matto, quello magnificamente interpretato da Anna Teresa Rossini, quasi una Scaramacai in frac bianco, zazzera e cilindro neri, in questa edizione del Teatro Verga di Catania, prodotto assieme al Teatro Stabile di Napoli, che vede Rigillo nei possenti e fragili panni di Lear e di Dipasquale in quelli trini di regista-scenografo-adattatore del testo, tradotto in un linguaggio più vicino ai giorni nostri da Masolino D'Amico, per il quale la divisione del regno di Lear con una corona d'oro alle due figlie Gonerilla e Regana equivale metaforicamente ad aver gettato il bimbo con l'acqua sporca. Ed è grazie al Fool, al Matto, che Lear acquista coscienza della sua condizione di uomo, impazzendo appunto, penetrando direttamente nella verità delle cose. Il Matto come colui che trasmette a Lear le verità più vere, il disincantamento della vita « ...se tu non sai sorridere secondo il vento che tira...» la gioia del vedersi vivere e nel gioire delle cose più semplici e naturali. Ma Lear capirà troppo tardi che « pazzo è colui che si fida della mansuetudine del lupo, della salute del cavallo, dell'amore d'un ragazzo o del giuramento d'una puttana ». Morirà accanto alla sua Cordelia profumante di tuberose quella vestita da Silvia Siravo, che non ha voluto "nulla" e felice forse d'aver capito di non essere stato "compiaciuto" da lei così come invece hanno fatto le altre due malefiche arriviste figlie, Gonerilla e Regana, entrambe en travesti quelle interpretate da Roberto Pappalardo e Luigi Tabita con bandana nera in testa. Parallelamente alla tragedia di Lear, assistito dal signore di Kent sotto mentite spoglie ( Filippo Brazzavente), se ne svolge una seconda che s'interseca con la prima e che ha per oggetto il conte di Gloucester, cortigiano di Lear (Sebastiano Tringali) che ha due figli: uno naturale, di indole buona, Edgar del bravo Giorgio Musumeci e uno malvagio, pure bastardo Edmud quello che David Coco interpreta con fare mefistofelico: prima parlando malissimo al padre del fratello Edgar, il quale per sfuggire alle sue ire vagherà nudo per i boschi trovando rifugio in una misera casupola: poi per una delazione, pare, spifferata ai Francesi sbarcati intanto in Inghilterra insieme a Cordelia, andata sposa al re di Francia (Cesare Biondolillo), sarà la causa dell'accecamento del padre: infine diventerà l'amante di Gonerilla e Regana. Come dire che il male si sposa sempre col male. Seguiranno guerre ammazzamenti e suicidi e il re d'Albania regnerà nella Britannia di Lear. Funzionale, astratta la scena di Dipasquale, con un fondale dai colori ocra che si muove in lungo sin quasi al proscenio, da cui traspaiono a volte alcuni personaggi che le luci di Franco Buzzanca fa risaltare come nei dipinti di Caravaggio e bello l'inizio con Lear-Rigillo quasi un uno stadio di crisalide, attorniato dalle tre figlie che lentamente lo vestono assumendo l'aspetto d'una farfalla per via degli ampi costumi ad opera di Angela Gallaro Goracci e pittorico quel girovagare di Lear, Edgar, il Matto, Glucester che si tengono per mano durante l'uragano come quei ciechi di Bruegel vecchio. Uno spettacolo corale di oltre tre ore, cui sarebbe opportuno qualche taglio per renderlo più fluido.
Gigi Giacobbe