liberamente ispirato a La storia di Elsa Morante,
drammaturgia di Marco Archetti,
regia di Fausto Cabra,
con Franca Penone, Alberto Onofrietti, Francesco Sferrazza Papa;
scene e costumi Roberta Monopoli,
drammaturgia del suono Mimosa Campironi,
luci Gianluca Breda, Giacomo Brambilla,
video Giulio Cavallini;
regista assistente Silvia Quarantini,
consulenza movimenti scenici Marco Angelilli,
produzione Centro Teatrale Bresciano,
al teatro Mina Mezzadri, 23 maggio 2019
La storia di Elsa Morante non è solo il racconto di Ida e dei figli Nino e Useppe, non è solo la storia piccola che s'intreccia con gli orrori di quella grande, non è solo la vicenda di una donna ebrea, del figlio fascista prima, partigiano poi, di Useppe, frutto della violenza di un giovane soldato nazista, La storia di Elsa Morante è un fluire di fatti, è il chinare la testa davanti a ciò che accade indipendentemente dalla nostra volontà, è il flusso di un racconto che invano ci sforziamo di dominare, così come le crisi epilettiche che segnano Ida prima e Useppe poi. Fausto Cabra, complice la drammaturgia di Marco Archetti, è andato in cerca di questo racconto, lo ha portato sulla scena con la consapevolezza del raccontare, o ancora meglio dell'immersione della lettura. Ed infatti lo spettacolo – prodotto dal Ctb – parte da qui: una donna in attesa del treno che legge ed è risucchiata dalle pagine del romanzo di Elsa Morante così come lo spettatore – in fondo – lo è dallo spettacolo che si avvale di una macchina scenica dinamica, ad effetto, con una coloritura spaziale, musicale, d'azione molto marcata, costruita con l'evidenziatore, didascalica fino al descrittivismo e alla mimesi.
Tutto ciò appare in sintonia con il racconto narrato, gli attori: Franca Penone (Ida). Francesco Sferrazza Papa (il soldato tedesco ma soprattutto Useppe) e Alberto Onofrietti (il marito di Ida, Nino, Davide Segre) sono narrati e narratori, incarnano le parole di Elsa Morante, se ne fanno corpo. C'è tanta fisicità in scena, c'è una perenne necessità di evidenziare, descrivere con gesti e tonalità spesso eccessive che rassicurano ed orientano lo spettatore (forse), ma che si crede siano soprattutto la risposta scenica alla scrittura del romanzo. Ne La storia di Elsa Morante non c'è spazio all'autonomia immaginativa, c'è una guida serrata, verbosa a ricostruire ambienti, personaggi, stati d'animo, nel raccontare della Morante le parole sono serrate, concatenate, sono una rete di protezione, una guida sicura che accompagna il lettore con un andamento di grande e imponente regolarità espositiva. Tutto questo ne La storia messinscena da Fausto Cabra si traduce in una sorta di 'trasposizione' fisica delle parole, nella necessità di far corrispondere a descrizione gesto e viceversa. L'effetto complessivo è di un tutto continuo, di uno scorrere lineare del racconto, in cui l'immagine dà forza alla parola e la parola suggerisce l'azione dell'attore, fino alla sua postura del corpo, descritto, affidato alla scrittura onnicomprensiva e che vuol essere mondo. In questo contesto La storia di Cabra chiede agli attori di spingere su toni e mimica nel segno di una evidenza di racconto che possa coinvolgere che si fa ancella alla storia, alla narrazione. Gli attori, lo spazio scenico, le musiche sono l'inchiostro e i caratteri impressi sulla pagina spaziale della scena che restituiscono allo spettatore affamato di favola il tutto tondo rassicurante dell'antico narrare, gli raccontano la Storia che non è solo il titolo del romanzo di Elsa Morante, ma è una condizione di perenne e contestuale infantilismo di chi ha bisogno di sentirsi raccontare storie per tenere a bada l'inafferrabile flusso del divenire.
Nicola Arrigoni