di Paolo Poli
da Goffredo Parise, regia: Paolo Poli
con Paolo Poli
scene: Emanuele Luzzati, costumi: Santuzza Calì
coreografie: Alfonso De Filippis
Milano, Teatro Carcano, dal 14 gennaio al 1 febbraio 2009
Roma, Teatro Eliseo, fino al 17 maggio 2009
Casalmaggiore, Teatro Comunale, 5 marzo 2010
Paolo Poli sempre uguale a se stesso eppure sempre in grado di stupire, divertire con un pizzico di nostalgia per il tempo che fu. L'instancabile ragazzaccio en travesti del teatro italiano affiancato dai suoi boys: Luca Altavilla, Alfonso De Filippis, Alberto Gamberoni, Giovanni Siniscalco racconta e canta l'Italietta del secolo scorso, un'Italietta dai motivi frivoli, dalle signorine che arrossivano, un'Italietta elegante e mai volgare anche quando faceva le peggio cose... Con Sillabari da Goffredo Parise Paolo Poli perpetua il suo teatro, il suo gusto per l'ironia a tratti boccaccesca, ma sempre allusiva. Lo spazio scenico è quello di sempre, è quello della rivista: ingressi laterali e siparietti che s'abbassano, fondali dipinti da Emanuele Luzzati e citazioni dei grandi pittori del novecento da DeChirico a Savinio, da Morandi a Dalì fino a Hopper. Motivetti degli anni Quaranta ed eleganti mises sono sfoggiati da Paolo Poli e dai suoi con allegro trasformismo e fanno parte di quei quadri sullo sfondo. Tutto contribuisce a narrare di un mondo, a dire della guerra di Spagna e di Lorca con la protagonista della Casa di Bernarda Alba, oppure di Marlene Dietrich alle prese con le riprese di Olympia, o ancora del rito tutt'altro che piacevole delle estati passate in colonia. L'estate con il rito della villeggiatura si nutre del sogno dispendioso di un'impiegata che si intrufola all'Hilton sognando il bel mondo oppure racconta delle amene bellezze, di bottoni di carne in mezzo alle gambe e seni e curve bianco latte e gonfie come palloncini della fiera in una spiaggia di nudisti... Paolo Poli finisce con l'apparire personaggio egli stesso, immagine di un passato più o meno remoto che rivive davanti agli occhi di un pubblico affezionato e plaudente. Ecco allora che Sillabari non è solo uno spettacolo, ma è un genere teatrale, è la forza unica di un artista che frequenta ormai da anni lo stesso schema scenico, la stessa drammaturgia e in termine televisivo si direbbe lo stesso format, eppure ogni volta sa essere divertente, sa stupire, sa far sorridere di un riso un po' ingenuo ma non sciocco, in cui il sesso è un mistero che si pratica con allegria e magari ci si preoccupa dopo di indossare la maschera della morale, giusto per non dare scandalo. I costumi di Santuzza Calì, le musiche allusive di Jaqueline Perrotin, le coreografie di Alfonso DeFilippis sono gli ingredienti di una macchina scenica ben oliata, coerente e perfetta nella sua operazione nostalgica e scanzonata che ruota attorno ad un Paolo Poli. L'attore sembra aver rubato e conoscere il segreto dell'eterna giovinezza: guardare al mondo con disincantata ironia, non curarsi di ciò che bisogna essere, ma amare in profondità ciò che si è. Viva la sincerità del teatro di Poli, un lungo, interminabile coloratissimo travestimento dell'anima.
Nicola Arrigoni
Bisognerebbe vedere periodicamente gli spettacoli di Paolo Poli, per riconsolarsi e capire ogni volta cosa sia il teatro. Tutti conoscono l'attore fiorentino, alla sua rispettabile età (che non sembra poter incidere sul suo corpo d'attore, anzi ne aumenta sfumature e ricchezza) e dopo innumerevoli spettacoli che ormai da mezzo secolo scandiscono la storia del nostro paese. Che lui continua a smascherare e raccontare quasi da un privato «buco della serratura»: non con voyeurismo, ma riuscendo a entrare ogni volta nell'intimità esistenziale di ciascuno. E riuscendo ad addolcire la pillola con una comicità irrefrenabile, che fa applaudire entusiasta, tra risate sgangherate e battimani interminabili, quello stesso pubblico che in qualche misura dovrebbe preoccuparsi, essendo di quelle deformazioni protagonista, bersaglio e vittima.
Da qualche tempo questo genio del teatro, maestro da sempre di meravigliose riscritture assieme alla mitica Ida Omboni, ha deciso di attingere direttamente alla migliore scrittura letteraria. Era stato così per i Sei brillanti (articoli di grandi firme di corrosivo bon ton del novecento, da Irene Brin a Aspesi), succede ancora con la messa in scena dei Sillabari di Goffredo Parise (all'Eliseo fino al 10 maggio).
Scritti dall'autore a partire dagli anni quaranta e fino ai sessanta, usciti prima in due volumi poi raccolti da Adelphi, i Sillabari sono mirabili variazioni sul tema dei sentimenti. Come un vero abbecedario, percorrono l'alfabeto, pur se dalla A di amore si fermano non casualmente alla S di solitudine. Sono 54 racconti che costituiscono probabilmente il capolavoro di Parise, per la malinconia spietata che li percorre, per la grazia che non consente elusioni, soprattutto per la lingua elegante quanto naturalmente poetica.
Paolo Poli, che appartenendo alla stessa generazione dello scrittore ne ha condiviso conoscenze, speranze e disillusioni, si muove su quella scrittura con agio naturale. Ne possiede la stessa eleganza, ma non può fare a meno di esercitare una qualche impertinenza, altrimenti non sarebbe più lui. Ne esplicita con una occhiata, o un colpo d'anca, o di mano, eventuali sottintesi, che pure aggiungono paradossalmente malinconia al tessuto narrativo di Parise. I racconti sono semplici, vere variazioni musicali sul filo esile di un rapporto o di una situazione. Bambini davanti ai loro padri che prendono lo spessore di un vissuto critico, vecchie signore o giovani ragazze, da quelle ingessate dell'Italietta alle bellone affluenti del boom.
La generazione di Paolo Poli, ovvero di Parise e di Arbasino, ovvero anche di Laura Betti e Pasolini, ha avuto traumi e privilegi, ha visto orrori, ma anche scoperto un mondo ricchissimo di umanità e persone, un mondo che oggi sembra annacquato e disciolto nell'acqua torbida. Il titolo stesso pedagogicamente scelto da Parise per i suoi racconti, conteneva già la coscienza che molto andava perdendosi, e bisognasse riappropriarsene da capo. Paolo Poli lo fa da maestro: con le canzonette e le canzonacce scelte assieme a Jacqueline Perrotin, i balletti dei suoi 4 boys pronti a ogni travestimento (della inesauribile Santuzza Calì) e ad ogni sberleffo; con la grazia matura di chi conosce le regole del palcoscenico. Dove i disegni giganti e geniali di Emanuele Luzzati cedono il passo ad altre suggestioni forti del secondo novecento, da De Chirico a Hopper. Su quegli scenari Poli non lesina sapienza e malizia, si traveste e finge di coinvolgersi, così come finge stupore e sorpresa. Sembra si prenda in giro, ma è ben chiaro che sono i migliori anni della nostra vita.
Gianfranco Capitta
Attore magnifico e irridente, colto signore di 80 anni che pare un ragazzo e adora interpretare, en travesti, ruoli femminili d'ogni età, Paolo Poli è in scena all'Eliseo di Roma fino al 17 maggio. Giusta scelta, quella di concedere un mese di repliche ai suoi gettonatissimi Sillabari, da Goffredo Parise. Sono deliziose novellette che lo stesso Parise descrive così: «Giurai a me stesso, preso dalla mano della poesia, di scrivere tanti racconti sui sentimenti umani, così labili, partendo dalla A e arrivando alla Z. Sono poesie in prosa. Ma alla lettera S, nonostante i programmi, la poesia mi ha abbandonato...». Poli ha, con l'autore trevigiano, un feeling particolare. Distilla e comunica facilmente il di lui spirito lieve e insieme caustico. Uguali segni uniscono, non a caso, Goffredo e Paolo: la leggerezza elegante, foriera di malinconie inconfessabili; uno humour aristocratico eppure ardente, immediato; l'intelligenza acutissima, sempre percepibile, anche sotto "sciocchezze" apparenti. Così l'attore diventa, per lo scrittore, in sequenza esilarante, le lettere dell'alfabeto. Padrone di mille identità. Demiurgo di una folla di esasperazioni con la gonna, autore di parentesi ludiche alla Tofano, alla Saint- Exupéry, alla Parise, appunto. I Sillabari esaltano proprio questa parte "fresca", giovanile dell'artista. Colgono l'essenza del Mondo Femmina e del Mondo Bambino, il fascino minimo di figure senza tempo che sono antonomàsia ma diventano, in palcoscenico, presenze concrete di una galleria sublime: dame e damazze, fantolini attoniti, donne sole e infuriate o poetiche Bovary di borgata, maschi sottaciuti con aspetto muliebre e aneliti di sopravvivenza. Gli spettatori sfogliano senza stress un album di vecchie figurine intatte, completo di sonoro.
Ambienti e scene di Emanuele Luzzati; costumi di Santuzza Calì; musiche di Jacqueline Perrotin; coreografie di Alfonso De Filippis. E, naturalmente, un Poli radiante e fantasmagorico da non perdere, assolutamente.
Rita Sala
Un sottile filo unisce Paolo Poli attore irriverente e caustico a Goffredo Parise, del quale sta portando in scena, in una intelligente drammaturgia, Sillabari. Li accomuna la capacità di essere osservatori della società, antagonistici per indole o per istinto, etologi empatici che sanno abbracciare amorosamente ogni particolare del circostante e restituirlo con una leggerezza che non è mai semplificazione. Parise nei suoi racconti coglie la vita nella sua immediatezza per farla gustare, osserva le cose e gli uomini per quelli che sono ma non è certo un neorealista, con spunti di visionarietà ascolta, gusta, annusa. E Paolo Poli ne afferra la raffinatezza e la fa vivere nel suo mondo contro, tra boys-attori-cantanti, bravi e divertenti - Luca Altavilla, Alberto Gamberini, Giovanni Siniscalco e Alfonso De Filippis anche coreografo - tra canzonette, da «Baciami piccina» a «Senza fine» componendo un ritratto irresistibile e impietoso dell' Italia dagli anni del Fascismo a quelli del boom economico. Un viaggio che è accompagnato dalle bellissime scene di Emanuele Luzzati, fondali e quinte che cambiano per evocare epoche e pittori da De Chirico a Hopper. Bellissimi e come sempre fantasiosi i costumi di Santuzza Calì: Poli ne sfoggia una ventina o più, da vecchia signora a ufficiale, da Zara Leander a impiegatina piena di decoro e di tristezza. Sfoglia Sillabari dalla A di anima alla B di bacio al M di mistero per evocare un avventura ad alta temperatura di un giovane sul litorale di Ostia. Ma basta un refolo di brezza marina per cancellare ogni mistero, come basta una canzonetta per ricominciare a graffiare con ironia. Bravissimo, Paolo Poli: col il suo fare un pò straniato, malizioso e candido, canta, muove passi di danza, anch' essi ironici, in un omaggio a Parise intelligente per continuare a scoprire che «l' erba è verde».
Magda Poli