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THÉRÈSE – regia Stefano Ricci

"Thérèse", regia Stefano Ricci. Foto Rosellina Garbo "Thérèse", regia Stefano Ricci. Foto Rosellina Garbo

 

di Stefano Ricci
ispirato a Thérèse Raquin di Émile Zola
con Donatella Finocchiaro, Alberto Carbone, Giulia Eugeni, Alessandra Fazzino 
operatore di camera Giulio Magazzù
scene Eleonora De Leo
costumi Gianluca Sbicca
movimenti Stellario Di Blasi
musiche Andrea Cera
light designer Gianni Staropoli
assistente alla regia Liliana Laera 
regia Stefano Ricci
produzione Teatro Biondo Palermo
Bassano del Grappa (Vicenza), teatro Remondini, 9 e 10 aprile 2025

www.Sipario.it, 11 aprile 2025

Come si deve rimanere di fronte a chi insegna una cosa che ci apre la mente ai primi attimi di spiegazione? Prima di tutto attenzionati e desiderosi di imparare, no? E magari a bocca aperta, colpiti da tutto ciò che ci si pone davanti. Una lezione, meravigliosa, è quella di Stefano Ricci e del suo spettacolo Thérèse, ispirato al e dal capolavoro letterario di Émile Zola, preso comunque decisamente a prestito, no, non è un adattamento, scardinandolo, demolendolo per giungere a un significato che si senta più vicino ai giorni nostri, e usando scenicamente tutto quello che è possibile. Elaborando un lutto e non solo. Perché il senso è allargato. Una grande lezione che non risparmia su nulla, e sublima. Un’ enorme scenografia-pedana inclinata, di Eleonora De Leo, ove gli attori si arrampicano, scendono sotto le botole presenti, ben sette, e di varia misura, in un vero e proprio esercizio fisico che non è loro risparmiato. Con una telecamera che li indaga in un continuo piano sequenza anche mentre si cambiano, ed è angoscia su angoscia. La figura di Thérèse e il suo complesso mal di vivere in evoluzione, irrisolto e confrontato, in tensione multipla è narrante attraverso dei personaggi che le assomigliano e si capisce che si sta girando un film, dove è la stessa attrice (una meravigliosa Donatella Finocchiaro che si butta a capofitto nel personaggio rendendolo straordinariamente vero) a porsi domande sulla propria disastrosa condizione. Che è poi quella di altri, di molti altri. Il tutto, si badi bene, condito da una poetica eccezionalmente alta. Perché Stefano Ricci, autore del testo e regista costruisce una non storia ispirata che tocca dentro, dove sono gli stessi interpreti anche a metterci del loro, non staccando mai un attimo, ed essendo dei non personaggi. Che sono, Alberto Carbone, Giulia Eugeni, Alessandra Fazzina e Giulio Magazzù, l’operatore di ripresa. Realtà nell’irrealtà o viceversa? Uno spettacolo che incanta e scava dentro inquietudini ed amarezze, ampliata con un linguaggio scenico unico e irripetibile, che Ricci cura dal primo all’ultimo istante. La sua Thérèse passa attraverso un film in corso di realizzo condiviso, una specie di transfert dal romanzo a una nuovissima leva della settima arte, simbolica, un po’ aspra nei dialoghi e nella situazione. Però, sublime. Perché a uscire puro, pregno è un plurimo disagio, il senso di colpa opprimente e  non recondito, il vivere coi giganteschi fantasmi presenti dentro i personaggi. Dentro Thérèse. Non unica, sola vittima nelle ripide sequenza di un’Antartide dalla quale si sbuca e si riaffonda, si scivola e si usano le corde, le tute d’altissime vette, il rotolarsi nel tentativo liberatorio. Thérèse è sovrapposta e sovrapponibile, è la Finocchiaro in magnifica forma attorniata da un bel gruppo che vive una catastrofe intima, film nel teatro e teatro nella realtà. L’Antartide cinematografica diventa terreno di confronto, di analisi, parabola esistenziale da evolvere e elucubrare. Con una frase-simbolo, detta da uno dei personaggi (che si chiamano, per la cronaca, col proprio nome): Quanto manca per arrivare sul fondo? Ma lì c’è una risposta e non è detto che sia negativa. Bellissimi i commenti sonori, e i costumi, fantastici i movimenti creati da Stellario Di Blasi. A Bassano del Grappa applausi convinti da parte del pubblico, per questo finale di stagione davvero sorprendente.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Venerdì, 11 Aprile 2025 15:03

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