di Joshua Sobol
ispirato alla storia vera di Franz Jägerstätter
regia David Jentgens
con (in o.a.) Emanuele D'Errico, Rebecca Furfaro, Antonio Grimaldi, Ettore Nigro, Monica Palomby, David Power, Teresa Raiano, Dario Rea, Margherita Romeo, Arturo Scognamiglio
Traduzione e adattamento
David Jentgens e Anna Marchitelli
PRIMA RAPPRESENTAZIONE IN ITALIA
con il patrocinio del Comune di Napoli
del Forum Austriaco di cultura di Roma
, del Goethe Institute di Napoli
e della comunità ebraica di Napoli
all'interno della rassegna Insolite note
con la direzione artistica di M'Barka Ben Taleb
Napoli, Teatro Bolivar dal 21 al 27 marzo 2016
Si alza il sipario e la scenografia viene allestita poco alla volta dallo stesso protagonista: la rete del letto, una coperta di lana infeltrita, il catino dell'acqua; una sedia di legno sbilenca e tutto intorno le grate della prigionia. Infine, appesa in un angolo, la divisa: quell'uniforme che è al centro del racconto. L'abito che – una volta tanto – fa il monaco, perché rappresenta una scelta di campo: la decisione di sposare un progetto omicida, di aderire a una causa che è sinonimo di morte e distruzione.
Il Testimone Oculare di Joshua Sobol, dramma in due tempi diretto da David Jentgens, è ispirato alla storia vera di Franz Jägerstätter. Un cittadino austriaco come tanti altri, distintosi per il suo incredibile coraggio. Franz, dopo l'Anschluss (l'annessione dell'Austria alla Germania nazista nel 1938), riceve la chiamata alle armi nel 1943, ma si rifiuta di svolgere il servizio militare. La sua è una decisione lucida quanto inevitabile, a suo avviso, per chiunque si renda testimone di una tragedia immane: la folle corsa dei treni nazisti, carichi di bambini affetti da handicap, verso i campi di concentramento. Un'avanzata cieca ed implacabile.
In seguito al suo rifiuto, Franz viene arrestato. Ovviamente, il processo si rivela una farsa vergognosa: tutti sanno da principio che gli obiettori di coscienza (non accettando di arruolarsi e di indossare la divisa) vengono certamente condannati a morte. Franz Jägerstätter sarà, dunque, giustiziato dal Reich attraverso decapitazione.
L'autore Sobol sceglie di raccontare la storia vera di Franz negli ultimi giorni di prigionia, quelli che precedono la sua atroce fine. Il protagonista non è solo in carcere, anzi: egli è circondato da figure che fanno di tutto per convincerlo a cambiare idea e a indossare la divisa. Un coro che all'unisono lo spinge a superare la propria crisi di coscienza e a passare dalla parte del Reich. Franz non è solo, ma solo vuole rimanere, allontanando quelli che lo distraggono dalle sue estreme riflessioni. Non tentenna neanche per un attimo; non ha dubbi, né indecisioni. Egli sa bene cosa deve fare, perché non può dimenticare il fischio dei treni (che si ripete come un tragico ritornello nel corso dello spettacolo). Quei vagoni carichi di anime innocenti: bambini disabili che vengono deportati nei campi e sacrificati all'assurda causa del Reich. Una tragedia impressa negli occhi di Franz, scolpita nel suo cuore sanguinante, che gli dà sicurezza e lo rende irremovibile.
A nulla valgono gli appelli accorati della guardia carceraria e della psicologa che lo ha in cura: entrambi cercano di farlo ragionare, di convincerlo a conformarsi. La dottoressa, in particolare, vorrebbe trovare in lui tracce di infermità mentale, per giustificarne la presa di posizione, ma niente: Franz è incredibilmente lucido e fiero. Perfino gli amici di sempre, entrambi arruolati nell'esercito del Reich, vanno a fargli visita in cella e lo costringono a indossare parte della divisa: gli assicurano che non combatterà, ma presterà servizio come infermiere. Non c'è verso: Franz non vuole avere niente a che fare con l'impero tedesco. Egli, meccanico (nella storia vera, contadino), vuole solo essere lasciato in pace, mentre sgrassa e pulisce le padelle. Ai condannati a morte non è richiesto di lavorare in cella: ciò nonostante, egli non smette di lavare i cessi e la biancheria dei detenuti; queste mansioni umili rappresentano la sua vita, finché dura.
Particolarmente significativi gli incontri (per lo più onirici) con la moglie Franziska – che da un lato non sa come spiegare alla loro bambina l'assenza del padre, ma dall'altro ne comprende a pieno l'ostinata resistenza – e con il cappellano del carcere, che, tradendo la propria fede in Dio e i valori che essa dovrebbe racchiudere, arriva a negare l'evidenza delle deportazioni, dello sterminio nei campi di concentramento e delle colpe del Reich. Ciò che importa al sacerdote è convincere Franz a indossare la divisa e, in seconda istanza, concedergli i conforti della preghiera prima dell'esecuzione. Tuttavia, il condannato rifiuterà la lettura dei salmi, chiedendo di essere lasciato in silenzio.
Fino alla fine, dunque, Franz resta un ribelle, determinato quanto consapevole. Un semplice contadino da cui non ci si aspetterebbe un tale coraggio e impegno civile. Ecco, nella semplicità della storia la sua grandezza. Un testimone oculare non può mai far finta di non aver visto.
Il regista David Jentgens ha scelto di allestire Testimone Oculare a Napoli, avendo scoperto l'episodio storico delle Quattro Giornate, che portò alla liberazione della città dall'esercito nazista nel 1943; pochi mesi dopo l'uccisione di Franz Jägerstätter. Franz, inoltre, aveva visitato effettivamente la città nel 1936, in viaggio di nozze con la moglie Franziska, restandone incantato.
Particolarmente giovani gli interpreti dell'allestimento curato da Jentgens per il Teatro Bolivar, ma altrettanto intensi e concentrati.
Giovanni Luca Montanino