Unione Sociale per una Destra Estrema
tratto da Amleto di William Shakespeare
regia, progetto scenografico, costumi: Dimitri Galli Rohl
disegno luci: Camilla Piccioni
commento sonoro: Franco Giraud
con Paolo Cioni, Luca Mancini, Luca Marinelli, Francesco Moraca, Eugenia Rofi, Diego Valentino Venditti, Daniela Vitale, Carlo Zanotti
e con Antonio Mastellone
e con la partecipazione straordinaria di Mario Mattia Giorgetti
Roma, Teatro Eleonora Duse, dal 21 al 27 febbraio 2009
"Il mare, il Don Giovanni di Mozart e Amleto" sono per Flaubert le tre cose più belle del mondo. Avvicinarsi all'opera di Shakespeare, che da oltre quattrocento anni incanta i palcoscenici di tutto il mondo, è vera e propria impresa. Servono esperienza e cultura per metterne a fuoco il fascino con cui sono impastate le sue stesse fondamenta.
Con leggero bagaglio, carico però di coraggio, Dimitri Galli Rohl, giovane regista lucchese, al suo saggio di diploma all'Accademia d'Arte Drammatica Silvio d'Amico di Roma, prova a condensare, con precise connotazioni politiche, in meno di due ore la tragica storia di Amleto.
La prima battuta scespiriana – "Who's there?" (Chi è là?) – viene distorta e presa in prestito per il titolo di questo affascinante 'disaddattamento', USDE, uno slogan rituale urlato in coro, acronimo di "Unione sociale per una Destra Estrema".
In fondo alla nera scena, unico squarcio cromatico, il dipinto di Giacomo Balla, Mercurio passa davanti al sole, che diventa metafora della parabola di re Claudio, un solido Antonio Mastellone, inetto uomo politico che, come Mercurio, tenta di eclissare il sole, la splendente memoria di re Amleto.
In un crescendo di scontri verbali, farciti con violenti slogan e marce militari, la compagnia di giovani attori si lascia trasportare sulla salda zattera dell'esperienza di Mario Mattio Giorgetti nel delicato ruolo di Polonio, un padre che, se pur letteralmente ridotto in mutande, conserva integra la propria dignità. Giorgetti scandaglia in profondità il suo amore paterno in una prospettiva più ampia, che non incastra soltanto i suoi due figli - Laerte (Luca Marinelli) e Ofelia (Eugenia Rofi), una ragazzina che sperpera la sua moderna femminilità giocando a fare il soldato - ma indica a tutta una generazione intrisa del mito della guerra il traguardo dal non essere all'essere, dal non vivere al vivere.
Luca Mancini presta la sua scarna fisicità allo sguardo del principe danese, tra macabro erotismo e sferzante ironia.
Completano l'affiatato cast Daniela Vitale, una dimessa Gertrude ormai votata al silenzio, Carlo Canotti nel ruolo di Orazio e, in una sorta di coro greco, Paolo Cioni, Diego Valentino Venditti e Francesco Moraca, le cui azioni sono delicatamente accompagnate dalle musiche e suoni dal vivo del maestro Franco Giraud e ritagliate dalle luci di Camilla Piccioni.
La scena è svuotata di tutto; solo alcuni cavi che danno l'idea di una ragnatela in cui risultano prigionieri i personaggi, ma il giovane Dimitri sa comunque ascoltarli, anzi li addomestica, riuscendo ad impadronirsi del senso di imprese e gesta lontane per virarle nei colori più strazianti del nostro attualissimo passato.
Cosimo Manicone
Il capolavoro shakespeariano si offre a una rilettura che vuole essere dichiaratamente di matrice politica, nella sovrapposizione a volte naturale e a volte più forzata, del mondo violento in cui vive e si tormenta Amleto – venuto a conoscenza dell'assassinio del padre ad opera del fratello, suo zio, poi divenuto re sposando nientemeno che sua madre - alla violenza fascista e agli eccessi di una dittatura sulla quale l'Italia continua oggi a interrogarsi. Ma non è questa rilettura più plateale e di forte impatto visivo – con l'insistita presenza di pistole e richiami alla guerra e i cortei di memoria mussoliniana – a dare smalto allo spettacolo. Piuttosto vogliamo parlare di Dimitri Galli Rohl come di un regista che ha capito l'importanza dell'attore in una messinscena. Teatro senza l'attore è un'utopia che spesso ha portato la regia a derive egocentriche tanto poco felici. Questo giovane, dalla tormentata vita, dopo l'incidente che nove anni fa lo ha portato senza pietà a non poter più camminare e all'invalidità ma che non gli ha impedito di diplomarsi regista alla Silvio D'Amico, ha vinto una sfida importante nella capacità di condurre ogni singolo attore a esprimersi ma soprattutto a esprimersi al suo meglio.
Il cast di giovanissimi interpreti dell'Accademia diventa in questo saggio di regia della prestigiosa scuola capitolina un "materiale" da plasmare e guidare verso una drammaturgia impervia, talvolta abusata, tagliata e storpiata forse per un giovanile gusto della provocazione fine a se stessa, seppure tanto nota. Grande impegno verso i ragazzi ma anche sicura padronanza nei confronti di altre due presenze straordinarie, quella di Mario Mattia Giorgetti nelle vesti del padre di Ofelia, Polonio, e di Antonio Mastellone, che interpreta l'assassino Claudio. Meno convincente il secondo, è Polonio, in particolare, il più shakespeariano dei personaggi in scena. Un contrappunto stilistico, anche in termini di recitazione, al mondo dei giovani. La voce dell'esperienza con un pizzico di divertito distacco che Giorgetti, anch'egli regista, nonché scrittore, ma qui in veste di attore, esalta attraverso la leggerezza, l'ironia e una recitazione talvolta trasognata che comunque, nel suo essere "tradizionale" nel senso migliore del termine e realistica, prende in qualche modo le distanze dal personaggio stesso. Nel buio e spettrale palcoscenico di U.S.D.E Polonio porta, solo per un attimo, il sorriso - che pure appartiene a Shakespeare anche nelle tragedie e che Rohl affida a delle "pantomime" comunque intrise di amara tragicità.
Appare evidente con quanto entusiasmo Rohl abbia riunito, in una sinergia di grande impatto sulla platea, questi ragazzi, mescolandoli a presenze di matura professionalità. Il risultato è uno spettacolo che, con i suoi eccessi (troppe pistole e troppe sigarette, ad esempio) e malgrado le insistite derive ideologiche, ha dato agli allievi diplomati della Silvio D'Amico, un'occasione reale per mostrare personalità e padronanza della scena. Tutti, nessuno escluso. E la sua generosità, dote piuttosto rara nei registi, è premiata dall'impegno dell'intero ensemble in una non facile prova di attore.
Flavia Bruni