da Victor Hugo Adattamento
scena e regia di Vincenzo Pirrotta
Costumi di Dora Argento
Musiche di Luca Mauceri
Luci di Franco Caruso
Con Vincenzo Pirrotta, Nancy Lombardo, Luca Maceri
Produzione: Teatro Biondo Stabile di Palermo - Associazione Culturale Esperidio 2008
Victor Hugo scrisse Le dernier jour d'un condamné nel 1829 quando aveva 27 anni. Un pamphlet di alto impegno civile, pure scandaloso per i tempi in cui fu scritto, ispirato a quel celebre libro Dei delitti e delle pene (1764) di Cesare Beccaria, che, rifacendosi alle idee umanitarie dell'illuminismo francese, "propugnò con logica rigorosa ed eloquenza commossa l'abolizione della tortura e della pena di morte". Nell'adattamento di Vincenzo Pirrotta lo scritto di Hugo diventa un monologo di 60 minuti, un modo congeniale per esaltare le sue prorompenti doti attoriali che si nutrono d'un linguaggio realista dalle tinte forti. Illuminato solo da un cono di luce che rende espressionista il suo viso, Pirrotta si muove all'interno d'un quadrato fornito di rialzo di due-metri-per-due, poggiandoci, qualche volta, sopra la testa come se da lì a poco la sua testa dovesse dire addio al suo corpo, riflettendo ad alta voce sulla sua condizione di condannato a morte. Non sappiamo nulla di quest'uomo, né il suo nome né che delitto abbia commesso. È solo un uomo qualunque sul punto d'essere trasferito su un carro in Place de Greve ed essere trascinato dal boia dinnanzi alla ghigliottina, lì dove la sua testa, serrata tra due pezzi di legno, verrà di netto tagliata da una lama triangolare che scenderà dall'alto velocemente facendola poi ruzzolare in un canestro. Non vuole credere quest'uomo che la piazza sarà piena di gente, che cercherà di accaparrarsi i posti migliori per assistere ad uno spettacolo di grande ferocia. Ripensa piuttosto al suo processo, all'atroce sentenza, alla carrozza nera e sporca chiusa da inferriate che lo ha condotto in prigione tra le grida dei passanti e si consola solo un po' pensando che in fondo gli uomini sono tutti dei condannati a morte e che saranno stati tanti quelli che lo hanno già preceduto in quelle sei settimane rimasto rinchiuso in cella prima della sua esecuzione. Delle sue tre donne che lascia, la sua pena maggiore non è per la madre o per la moglie ma per la sua piccola Marie, la figlioletta di tre anni dai grandi occhi neri e lunghi capelli castani, che neppure lo riconoscerà quando la sua immagine verrà evocata. Pirrotta, che firma pure scena e regia, indossa una bianca camicia lordata di sangue e una redingote color marrone che donerà poi ad un condannato (lo stesso Luca Mauceri, pure nei panni d'un carceriere che vorrebbe avere anzitempo tre numeri da giocare al lotto, cui si devono le musiche vorticistiche suonate dal vivo al pianoforte) che ad un tratto entrerà dentro quel perimetro, lasciandogli in cambio una vecchia giacca di lana grigia. Mancano poche ore alla morte e la testa di quell'uomo va a mille all'ora. Cerca di decifrare le iscrizioni incise sui muri della cella, pensa, sogna, si agita, vuole evadere, spera nella grazia del re, gli appare alla sua vista una ragazzina che è pure l'immagine dell'eterna nemica (Nancy Lombardo) che canta con voce da soprano e reca in mano una testa di gesso bianca e sarà lei stessa alla fine ad uscire di scena verso il pubblico lasciandosi dietro una lunghissima scia di sangue raffigurata da lunghissimi metri di stoffa scarlatta. Achiusura di spettacolo, una serie di emblematiche immagini-documento di vari tipi di esecuzioni capitali che ancora oggi vengono eseguite nel nostro strano mondo.
Gigi Giacobbe