di Harold Pinter
Regia: Roberto Trifirò
Scene: Alessandra Rosso
Luci: Luca Siola
Interpreti: Maria Ariis, Paola Giacometti, Roberto Trifirò
Produzione Out Off.
Milano, Teatro Out Off 11 ottobre 2012
Fra i protagonisti di quel filone che, per semplicità – o forse semplicismo – si suole definire "teatro dell'assurdo", Harold Pinter è forse il più inquietante.
Mentre le cosiddette assurdità di Beckett si possono leggere agevolmente come metafore, mantenendole ad una distanza rassicurante; mentre l'umorismo di Ionesco ne alleggerisce la feroce portata satirica, Pinter ti avvolge, partendo da una situazione apparentemente realistica, che potrebbe appartenerti, e che rimane tale finché, passo dopo passo, non ti trovi invischiato, coinvolto in un universo che sembra plausibile, ma dove, inesorabilmente, saltano tutte le fragili certezze razionali che ti ancorano alla vita quotidiana.
Vecchi tempi è '70, e l'edizione di diretta e interpretata da Roberto Trifirò esalta quegli sconcertanti elementi stilistici ed esistenziali. La scena è spoglia, con mobili di cartone che potrebbero essere le soluzioni, non particolarmente originali, di un architetto d'interni: potremmo quindi trovarci in un normale appartamento borghese dei nostri giorni. È vero che si nomina un personaggio assente, che vediamo invece, di spalle, in fondo alla scena; ma questo fatto, peraltro prescritto dal testo, può apparire una opinabile licenza della regia. È vero che Anna (la brava Paola Giacometti), usa a volte termini stranamente ricercati, e risponde elusivamente alle domande che le vengono poste; che certe geometrie ricorrenti nei gesti e nelle posizioni dei personaggi ci indirizzano verso una dimensione straniante; che la gestualità sopra le righe di Tririfò dipinge un personaggio dai tratti psicologici improbabili. Ma, quando ce ne rendiamo conto, siamo ormai precipitati in un mondo governato dall'irrazionalità, dove l'unica via d'uscita sembra il lungo, interminabile silenzio che chiude lo spettacolo: una felice soluzione registica che fa pensare a certi quadri di Francis Bacon.
Pinter offre una chiave di lettura possibile, ancorché ambigua ed irrazionale, con una battuta in bocca ad Anna: "A volte ci si ricorda di cose anche se non sono mai accadute. Io ricordo cose che, magari non sono mai accadute ma, proprio perché le ricordo, diventano reali".
Una verità sconcertante, che facciamo fatica ad accettare: la nostra memoria non è statica, ma dinamica; e la plasmiamo, spesso senza rendercene conto, col fluire della nostra vita.
Claudio Facchinelli