testo: Peter Brook, Marie-Hélène Estienne
basato su testi di: Antonin Artaud, Edward Gordon Craig, Charles Dullin, Wsewolod Emiljewitsch Meyerhold, Zeami Motokiyo e William Shakespeare
attrice: Miriam Goldschmidt, musicista: Francesco Agnello
regia: Peter Brook
Vie Scena Contemporanea Festival, Correggio (RE), Salone delle feste, 11, 12 e 13 ottobre 2008 (prima nazionale)
Roma, Teatro Palladium, dal 15 al 18 gennaio 2009
Peter Brook, 84enne maestro della scena inglese, ci ha abituati all'uso di tutti gli idiomi. Così non ci stupiamo se in una bagattella, Warum Warum, in scena ancora stasera e domani al Palladium e considerata il suo ultimo spettacolo, usa la lingua di Goethe e di Hegel. Si tratta di un monologo costruito in collaborazione con Marie-Hélène Estienne e affidato, per amor di esperimento, all'attrice Miriam Goldschmidt. Musiche dal vivo di Francesco Agnello. Il grande regista, ormai da parecchie stagioni, preferisce il suggerimento alla declamazione, lo spunto all'affermazione, l'esca alla preda. Per Warum Warum, che fin dal titolo lascia pensare agli interrogativi pressanti di qualcuno, ha unito brevi testi dei leader delle avanguardie teatrali del primo Novecento: dal teorico della crudeltà, Antonin Artaud, a Gordon Craig, il poeta dello Spazio armonico abitato non dall'Attore ma dalla Supermarionetta; dal "biomeccanico" Meyerchol'd all'artista della maieutica teatrale, Charles Dullin; da Zeami, padre del Nô, al re degli elisabetttiani, William Shakespeare. Un messaggio frammentato dalla cittadella parigina, Les Bouffes du Nord, che il regista (secondo recenti dichiarazioni) pare voglia comunque abbandonare.
Rita Sala
Una sedia, quattro luci, il rettangolo vuoto d'una porta che fa da soglia fra il teatro e il suo doppio, o il suo oppio: alla magia di Peter Brook basta poco, pochissimo per incantarci. Ma la sua è una difficile semplicità, come quella dell'Infinito leopardiano. In Warum warum, visto in tedesco con sottotitoli alla quarta edizione di Vie - Scena contemporanea festival (tra Modena, Carpi e Vignola), Brook trasforma in spettacolo un'antica ma ricorrente domanda: perché facciamo teatro? I testi sacri a cui s'appoggia, da Shakespeare a Craig, da Meyerhold ad Artaud, si fondono con le musiche di Francesco Agnello nella corroborante esibizione di Miriam Goldschmidt, un'attrice capace di andare al cuore delle cose.
Claustrofobia, timore dell'altro, pregiudizio senza orgoglio sono invece alla base di Stranieri, «guerra dei Roses» fra cari estinti o quasi, che il Teatro delle Albe ha presentato a Vie in anteprima. In un buio percorso da luci stroboscopiche, fantomatici filmati, terremoti sonori, il regista Marco Martinelli punta sul bravo Luigi Dadina per una storia d'ordinaria follia, vicina al clima del precedente Sterminio.
Roberto Barbolini
Che cos' è il teatro? Perché il teatro? Se la parola è un segno per indicare uno stato d' animo come tradurla sul palcoscenico? Tecnica? Sì, ma non basta. Immaginazione? Certo, ma come attivarla? Lo spettacolo di Peter Brook Warum, Warum (Perché, perché) è un monologo ultraminimalista, in tedesco, per attrice, Miriam Goldschmidt, e musica, eseguita da Francesco Agnello su uno Hang, strumento a percussione dal suono suggestivo. Un monologo, dalla drammaturgia fragile e un pò sconnessa, dello stesso regista e di Marie-Hélène Estienne, che unisce le parole di Shakespeare a quelle di «maestri» - anche se la definizione non piace a Brook - del teatro da Mejerhold a Craig, da Zeami a Artaud: appunti di vita sul palcoscenico e per il palcoscenico giocati con ironia stigmatizzando i vezzi di un certo teatro, riconoscendo nel melodrammatico la strada che porta, per estrema sottrazione, all' essenzialità. Uno spettacolo che non ha «messaggi» ma si compone di attimi accostati tra loro con la casualità della vita. Uno spettacolo di dubbi che spengono ogni certezza e fanno scaturire un pensiero. Il pensiero come forza della natura umana e come tale mai finito come il gioco perenne delle onde marine. Miriam Goldschmidt è duttile, ironica, buffa, nel giocare con un copione fatto del nulla con cui è fatto il teatro. Il telaio di una porta montata su ruote, una sedia, un guizzo di immaginazione e si materializzano Shyloch del Mercante di Venezia o il conte di Gloucester di Re Lear, o l' attore che deve ridere o piangere e si rende conto che tecnicamente parlando riso e pianto scaturiscono dal medesimo trucco: premere un dito sul plesso solare e inspirare. Teatro e poi ancora teatro, luogo delle domande e non solo su come interpretare ma anche: chi sono? Perché vivo? Perché muoio? Semplicemente perché. Domande cui rispondere con altre domande.
Magda Poli