dal Woyzeck di Georg Büchner
nuova traduzione Alessandro Berti, ideazione, scrittura fisica e messa in scena Michela Lucenti
con Maurizio Camilli, Andrea Capaldi, Andrea Coppone, Francesco Gabrielli, Raffaele Gangale, Filippo Gessi, Michela Lucenti, Carlo Massari, Gianluca Pezzino, Emanuela Serra
musiche originali Mauro Montalbetti, luci Stefano Mozzanti
produzione Fondazione Teatro Due – Balletto Civile
al Teatro Due, 4 dicembre 2011
Michela Lucenti è una che ama le sfide, è coreografa che frequenta il pensiero contemporaneo attraverso i suoi ragazzi di Balletto Civile e lo fa rischiando, eccedendo, mettendosi costantemente alla prova. E' questo gusto del frequentare il limite dei generi, l'orizzonte sottile di parole/suono/movimento che si ravvisa in Woyzeck, di Georg Büchner. Affidandosi alla squillante e intensa traduzione di Alessandro Berti, Michela Lucenti recupera dall'incompiuto testo espressionista una sua particolare versione postmoderna in cui ironia e angoscia si tengono per mano e trovano nel corpo di Woyzeck il suo simbolo, il capro espiatorio di una colpa in inespiabile: il non senso del vivere, l'assenza di bontà nel mondo. In quel 'ricavato dal vuoto' che si affianca al titolo c'è forse la chiave di lettura di un lavoro non immediato, a tratti un po' faticoso e che in alcuni punti rischia di voler dire tutto, dire troppo. Michela Lucenti cerca di immergesi e fa immergere con lei anche i suoi bravi e intensi danza'attori in quell'abisso che è l'uomo, un abisso che provoca stordimento, che acceca, immobilizza e fa impazzire d'angoscia. La vicenda del soldato Woyzeck, la sua natura 'buona', il suo amore per Maria, la gelosia che scoppia, la violenza incontrollata e mossa dal troppo amore emergono in maniera carsica nel disegno drammaturgico e coreografico di Michela Lucenti che scolpisce con amabile sensualità il corpo del suo danzatore feticcio, Maurizio Camilli, ne fa l'emblema sacrificale di una innocenza fisica che alla fine si perde nel latte amniotico di una poltiglia che soffoca e purifica al tempo stesso. In Woyzeck – ricavato dal vuoto le immagini possono più delle parole, la seduzione dei corpi, la coreografia spigolosa composta da Michela Lucenti danno sostegno ad un narrare che dice e spiega, che non si accontenta di evocare ma vuole mettere glosse e alla fine rischia di essere costringente e ridondante. Si ha l'impressione che Lucenti abbia proceduto per accumulo, abbia giustapposto elementi senza arrivare alla sintesi, presa dal desiderio di dire tutto, di fissare l'abisso che è l'uomo. E l'effetto è un giramento di testa che fa perdere la prospettiva e consegna al pubblico un lavoro interessante ma che non convince fino in fondo.
Nicola Arrigoni