uno spettacolo di e con Alessandro Berti
cura Gaia Raffiotta
fotografie Daniela Neri
produzione Casavuota
con il sostegno di Gender bender festival
e
l’aiuto di Teatro Comunale Laura Betti – Barfly il teatro fuori luogo – Opera prima festival – ogni casa è un teatro
M ilano, Teatro Franco Parenti – Sala AcomeA dal 30 settembre al 2 ottobre 2020
Il porno come rappresentazione sociale
Qualche pianta, un telo e una sedia ribaltata: la AcomeA del Teatro Franco Parenti si presenta come un salotto letterario spoglio e un po’ antiquato. Lo spettatore attento solo alle dimensioni (per molti ancora predominanti) dei caratteri, al titolo di fogli, volantini, poster, ma anche all’immagine che li accompagna, lascia poco o tanto spazio all’immaginazione. In realtà, “Black dick” si sviluppa in profondità come la sala che lo ospita. Più che un testo portato in scena, una serie di confessioni supportata da grande ricerca e condivisa con il pubblico che viene invitato a partecipare.
Nel metabolismo di questi mesi paranormali in cui tutti hanno dovuto riscrivere o pensare nuovamente ad almeno una parte della propria vita, l’esigenza di messe in scena pragmatiche, che sfruttino sì la macchina teatrale ma senza tanti giri di parole, è necessaria. Ugualmente importante è sentirsi raccontare storie contro il razzismo non solo per il fatto che siamo una specie narrante ma anche perché ciascuno di noi conserva un coccio di responsabilità passata che, ogni tanto, bisogna tirare a lucido.
Alessandro Berti (autore e attore), però, specifica subito: non si parla di razzismo in toto! Si capisce, sin dalle prime battute, di trovarsi di fronte a un one man show nato in risposta a un obsoleto linguaggio mediatico che, ancora troppo spesso, indirizza verso facili associazioni per nulla democratiche.
Black dick descrive le piattaforme pornografiche come delle piccole rappresentazioni sociali. Sotto le lenzuola, da soli o in compagnia, non siamo poi così diversi e anche i pensieri più censurabili prendono spunto dal contesto geopolitico in cui siamo immersi articolandosi in una serie di dinamiche che Berti snocciola con grande intelligenza e ironia, usando tutti i linguaggi artistici in suo possesso, in uno spettacolo che diventa multimediale.
Nel triangolo maschio bianco-maschio nero-donna bianca, i vertici seguono questa gerarchia. Il primo ha paura di essere sodomizzato e rimpiazzato dal più virile secondo che cerca di sottrargli la terza: la donna bianca viene dunque considerata come stendardo del potere che, in questa logica più che mai, “logora chi non ce l’ha”. Il nesso tra le ricerche pornografiche più gettonate e la società in senso stretto non è scontato ma molto forte: il concetto di “razza”, privo di fondamenti genetici, si incastra perfettamente nella demand della categoria interracial, sempre ai primi posti, che peraltro vede solo la coppia maschio nero-donna bianca. La donna nera non è contemplata e nell’industria a luci rosse percepisce molto meno rispetto alle colleghe bianche.
Il pretesto pornografico si dirama nelle tematiche più disparate accomunate tutte dalla stessa matrice stereotipica: il maschio nero è solo più nero o anche più maschio del maschio bianco? E quanto si sta alzando l’asticella del maschile?
Appare evidente come, da questo terreno fertile, si possano coniugare altri cedimenti sociali difficili da sradicare, quali sessismo e omofobia e come, inevitabilmente, tutte le espressioni dell’umano (linguaggio, scrittura, musica) possano essere contaminate.
Lo studio di Alessandro Berti è lodevole così come la sua capacità di fornire input di pensieri critici in maniera acuta e artisticamente completa.
Giovanni Moreddu