GRAND RYTHME di Fernand Schirren, Micha van Hoecke, ripreso da Yoko Wakabayashi, con la partecipazione degli Allievi della Scuola di Ballo del Teatro diretta da Laura Comi EDEN Coreografia Maguy Marin, ripresa da Ennio Sammarco e Francoise Leick, Lui Riccardo Di Cosmo / Antonello Mastrangelo 3, 5, Lei Alessia Gay / Cristina Mirigliano 3, 5 SYMPHONIE POUR UN HOMME SEUL Musica di Pierre Henry, Pierre Schaeffer, Coreografia Maurice Béjart, Uomo Nicholas Le Riche / Mario Marozzi 5, 6, Donna Clairemarie Osta / Alessandra Amato 5, 6 GAÎTÉ PARISIENNE suite Musica di Jacques Offenbach, Coreografia Maurice Béjart, ripresa da Miki Matsuse e Piotr Nardelli, Bim Alessio Rezza / Antonello Mastrangelo 4, Offenbach Alessandro Tiburzi / Fabio Longobardi 4, 5, Madame Lucilla Benedetti, Les amants Gaia Straccamore / Alessandra Amato 4, 5 /, Micaela Grasso 6, Paolo Mongelli / Emanuele Mulè 6 2 maggio 2012, Teatro dell'Opera di Roma |
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Danza 'unica' in 'movimento' Quando ci troviamo ad assistere una nuova interpretazione di un "classico" ben noto, la domanda che ci poniamo è se quell'opera conservi ancora la medesima capacità comunicativa che il pubblico gli ha riconosciuto negli anni passati. Quando, poi, il "classico" appartiene ad un tempo recente – come la fine del secolo scorso – la risposta non è delle più semplici, in quanto il nostro ricordo è legato a quel contesto che combina gli eventi sociali, le ideologie, il pensiero politico, insomma un passato che, nel caso dell'esperienza di Béjart, definirei un "passato prossimo". Il valore simbolico del gesto e il senso della bellezza dei corpi, espressa dall'opera di Maurice Béjart, hanno occupato ed occupano, senza dubbio, uno spazio mentale a-temporale al quale possiamo facilmente aggiungere l'aggettivo "immortale". Béjart coreografo francese scomparso nel 2007 all'età di ottant'anni, tra i grandi interpreti della danza de XX secolo, non consente mezze misure: lo si ama o lo si odia. È, forse, questa duplicità di sentimenti che rende la sua opera sempre attuale. Roberta Bignardi |
coreografia: Nacho Duato musica: Franz Schubert (musica registrata) direttrice del corpo di ballo: Alessandra Panzavolta primo ballerino ospite: Alessandro Macario Primi ballerini, solisti e Corpo di ballo del Teatro San Carlo 20 gennaio 2012, Teatrino di Corte di Palazzo Reale, Napoli |
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Un amore senza parole Il corpo del danzatore descrive una realtà che è al di là di tutti i codici. Nel movimento, che è movimento dello spirito, perde l'aderenza alle cose del mondo e si libera della gestualità non intenzionale: il movimento è pura essenza di ciò che siamo realmente e, al tempo stesso, espressione di un'emozione che ci restituisce chi l'interpreta, vale a dire ciò che vediamo. Il coreografo spagnolo Nacho Duato non poteva scegliere titolo più appropriato di Without Words, ovvero Senza parole, per un lavoro che mostra tutto il "senso" profondo che raccontano i corpi danzanti. Roberta Bignardi |
Ideazione, Direzione e Coreografia: Jasmin Vardimon Creato e interpretato da: Luke Burrough, Tim Casson, Olga Clavel-Gimeno, Sam Coren, Mafalda Deville, Estéban Fourmi, David Lloyd, Yunkyung Song, Elena Stavropoulou Direttore Associato e Drammaturgo: Guy Bar-Amotz, Disegno Luci: Chahine Yavroyan, Scenografia e supporti multimediali: Guy Bar-Amotz, Animazione: Michael Klega Sound design: Nik Kennedy, Ideazione costumi: Linda Rowell, Direttrice delle prove: Mafalda Deville, Direttore di Produzione: Ben Payne, Tecnico del suono: Kathryn Breadbury, Tecnico luci: Nia Woods, Tecnico di palcoscenico: Alastair Kleissner, Costruzione scene: Factory Settings Ltd, Maestra di Ballo: Franziska Rosenzweig 10 Maggio 2012, Salon at Unicorn Theatre, Londra |
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"The Power of dance" L'energico genio della coreografa israeliana Jasmin Vardimon Nel Contributo alla psicologia del talento, apparso nei primi del Novecento, Robert Walser scriveva: «Un talento deve essere fluido, non polveroso, liscio, non accidentato, ma non può fluire in modo troppo liscio, deve essere profondo e di un certo peso, ma non può essere troppo profondo, né tanto meno pesante. Deve avere una certa ampiezza e una certa calma, vale a dire deve essere caldo, deve sapersi spingere fino all'incandescenza, ma non può mai essere focoso, mai grossolano, mai goffo». Un talento che traspare nella sua profonda essenza dal lavoro della "Jasmin Vardimon Company" che, senza compiacimenti formali, traduce nell'arte quel desiderio di concepire in senso nuovo. L'israeliana Jasmin Vardimon è unica nel suo stile coreografico, cifrato da una dirompente fisicità. Mai ripetitivo, tanto meno scontato, diventa viatico che accompagna il pubblico a immergersi nello spettacolo attraverso linee di linguaggi comunicativi; il suono e le sue diverse voci, la danza e il movimento che la costituisce, il video e le innovative di tecnologie multimediali. Un teatro-danza fisico e mentale che segue un testo preciso, arricchito, di volta in volta, da una attenta scelta musicale, da un humor perspicace e una drammaturgia tagliente, rivolti ad indagare l'essere umano, i suoi comportamenti e l'attualità sociale con istinto e provocazione. I corpi sono trattenuti da un "senso di impossibilità": il movimento fluido, infatti, è interrotto da ripetute cadute, rinunciando a grandi elevazioni e svolgendo i movimenti secondo una direttrice orizzontale. L'azione avviene contestualmente in uno spazio visibile e in uno invisibile: le due scene sono separate da nastri bianchi che, come i profondi "tagli" delle attese di Lucio Fontana, permettono il passaggio dei danzatori e delle invenzioni coreografiche multimediali. Sullo schermo passa un'immagine che "non si riesce" a vedere, accompagnata da un suono che "non si riesce" a sentire. L'impossibilità, quindi caratterizza l'inizio di Yesterday. La coreografa pone sul palcoscenico una telecamera nella quale fa affacciare e dialogare la danzatrice, la quale inizia a tracciare con un pennarello una lunga linea sul suo corpo. L'immagine di colpo viene proiettata sull'intera scenografia, sul fondo, sulle quinte: prende la superficie della scena. L'occhio analogico della telecamera si identifica con quello del pubblico, creando una texture di sguardi con l'interprete. Il pennarello, adesso, diventa l'unico protagonista del movimento, infondo anch'esso un corpo danzante. Una danza che non è più compiuta dalla figura, bensì sul "corpo". La struttura del movimento degli otto danzatori resta sempre orizzontale, rapida e fisica. |