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SIPARIO RECENSIONI: Bonci Sara

Vincitore Prosa - Sara Bonci

Blackbird - regia Lluis Pasqual
La Vita Cronica - regia Eugenio Barba
Rumore di Acque - regia Marco Martinelli

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Blackbird
La Vita Cronica
Rumore di Acque

Blackbird di David Harrower
traduzione Alessandra Serra
scene Paco Azorin
costumi Chiara Donato
luci Claudio De Pace
con Massimo Popolizio e Anna Della Rosa
e con Silvia Altrui
regia Lluís Pasqual

Produzione PICCOLO TEATRO DI MILANO-TEATRO D'EUROPA
Visto al Teatro Metastasio di Prato il 25 marzo 2012

BLACKBIRD - Blackbird in inglese vuol dire "merlo" e nello slang britannico anche "ragazza". Il caso vuole che Blackbird di David Harrower giri attorno alla figura di una giovane donna che arriva a sconvolgere la quotidianità dell'uomo che le ha cambiato la vita proprio come un uccello nero che emigra alla ricerca del caldo. Una è la protagonista e Ray è l'uomo che l'ha violentata quando ancora era una bambina. Questo evento, che l'ha fatta diventare una donna cinica e superficiale, la porta molti anni dopo alla ricerca del suo passato. Prima di tutto cerca il suo carnefice, per farlo sentire in colpa, facendo tornare a galla quei momenti in cui la bambina che era si sentiva sola e bisognosa di attenzioni. E Ray, un frustrato uomo di mezza età, di fronte all'ombra di un passato che vuole dimenticare, non sa che fare. Vorrebbe cacciarla, ma al tempo stesso vuole proteggerla e raccontarle la sua versione dei fatti, di quella notte in cui sono scappati insieme. "Non ti avrei mai abbandonato." le assicura, quando la donna lo accusa di averla lasciata sola e inconsapevole di quello che stava accadendo. "Non sono come loro." si autoconvince l'uomo accusato di pedofilia. Tutta la discussione, svoltasi nel luogo di lavoro di Ray (un addetto alle pulizie) finisce con un momento di follia dei due che freneticamente si baciano, si toccano, si spogliano. Un momento tanto crudo quanto breve che Ray fermerà violentemente nel nascere. "Sono troppo vecchia?" si chiede Una. Niente di più atroce in questa domanda, niente di più triste nelle parole di Ray quando si chiede preoccupato se le ha fatto male respingendola. Una storia profonda che fa capire che anche dietro azioni imperdonabili come l'abuso di una minorenne ci sono sfumature e vite umane. Hai di fronte un uomo solo che d'istinto vorresti odiare, ma non riesci a farlo da quanto ti fa pena. Finché non hai la consapevolezza che entrambi sono malati, ma lui è l'unico colpevole, perché è assurdo pensare che una bambina di dodici anni possa essere consenziente. Tutto questo è stato raccontato da Massimo Popolizio e Anna Della Rosa. Il primo riusciva a dare impulsi della follia del suo personaggio senza mai esagerare, attraverso un'espressività che dava i brividi. Anna Della Rosa, se pur più giovane del suo collega, ha dimostrato una notevole capacità di sostenere la drammaticità della scena soprattutto durante il monologo in cui racconta la fuga con l'amante. Entrambi, in un crescendo di energia, sono riusciti a non perdere mai quella potenza che il testo richiede per mantenere l'attenzione del pubblico. La regia è semplice, quasi cinematografica, ma efficace, al servizio degli attori.

Sara Bonci

La Vita Cronica NORDISK TEATERLABORATORIUM - ODIN TEATRET (DK)
testi Ursula Andkjær Olsen e Odin Teatret, attori Kai Bredholt, Roberta Carreri, Jan Ferslev, Elena Floris, Donald Kitt, Tage Larsen, Sofia Monsalve, Fausto Pro, Iben Nagel Rasmussen, Julia Varley
drammaturgo Thomas Bredsdorff, consigliere letterario Nando Taviani, disegno luci Odin Teatret, consulente luci Jesper Kongshaug, spazio scenico Odin Teatret, consulenti spazio scenico Jan de Neergaard, Antonella Diana, musica Odin Teatret, melodie tradizionali e moderne, costumi Odin Teatret, Jan de Neergaard, direttore tecnico Fausto Pro, assistenti alla regia Raúl Iaiza, Pierangelo Pompa, Ana Woolf, regia e drammaturgia Eugenio Barba
produzione Nordisk Teaterlaboratorium (Holstebro), Teatro de La Abadía (Madrid), The Grotowski Institute (Wroclaw)
Visto al Teatro Fabbricone di Prato il 7 ottobre 2011

Eugenio Barba e la sua "vita cronica": la fiducia nella speranza

LA VITA CRONICA - Un mondo parallelo, una serie di personaggi senza tempo che lo abitano, la musica che li accompagna in tutto il loro viaggio, la guerra che distrugge, la speranza che cerca di combattere contro la finzione della comprensibilità. Tutto questo in uno spazio indefinito - in Danimarca e altri paesi dell'Europa - in cui gli attori dell'Odin Teatret si muovono in modo naturale e spontaneo, anche se di certo non simile alla realtà. Di verosimile, infatti, c'è ben poco, se non le emozioni che gli attori riescono ad esprimere, nonostante la mescolanza di lingue (rumeno, danese, cileno, italiano e inglese) non permetta di comprendere fino in fondo tutti i dialoghi. La storia è quella dei primi mesi dopo una guerra civile, attorno al 2031. Un'epoca futura, di cui quindi non possiamo già conoscere le fattezze. "Molte voci, giorno e notte, con molti mezzi, pretendono di spiegarci i differenti perché della storia che assedia le nostre vite e minaccia di trascinarle nel caos." Scrive Barba dimostrando l'inclinazione caotica dello spettacolo. Un'esplosione di sensi, di allusioni, un bombardamento di figure che non possono essere vicine alla nostra esperienza, ma che inevitabilmente ci toccano, come se andassero a ripescare emozioni cui non possiamo dare neanche un nome. La prima reazione a seguito dello spettacolo è, infatti, di mutismo: non ci sono parole per descrivere ciò che ci è stato raccontato. Facile affermare che gli attori, con il corpo, la voce e il canto si sono dimostrati ottimi performer, ma non è facile capire perché la biografia di quelle persone sofferenti e tormentate ha innescato una viva partecipazione in noi. Forse quello che capisce uno spettatore è completamente diverso rispetto a quello che, invece, interpreta un altro, ma non c'è risposta giusta e sbagliata agli interrogativi che i protagonisti di "La vita cronica" si pongono. Una rifugiata cecena che piange il marito morto, una madonna nera vestita di strani drappi che delirante taglia l'aria con una spada, una casalinga rumena intenta a mangiare e pulire in continuazione che prova più volte a suicidarsi, un avvocato danese, un vecchio rocker delle isole Faroe, un ragazzo sudamericano che cerca suo padre scomparso, la vedova di un combattente basco, una violinista di strada, due mercenari. Questi sono i protagonisti del nuovissimo spettacolo di Eugenio Barba.

Sara Bonci

Rumore di Acque di Marco Martinelli
ideazione Marco Martinelli, Ermanna Montanari
musiche originali eseguite dal vivo Fratelli Mancuso, spazio, luci, costumi Ermanna Montanari, Enrico Isola, realizzazione costumi Laura Graziani Alta Moda, A.N.G.E.L.O., direzione tecnica Enrico Isola, tecnico del suono Andrea Villich, realizzazione scene squadra tecnica Teatro delle Albe Fabio Ceroni, Luca Fagioli, Danilo Maniscalco, Dennis Masotti, con il contributo di Amir Sharifpour (Opera Ovunque)
promozione Marcella Nonni, Silvia Pagliano, Francesca Venturi, in scena Alessandro Renda, regia Marco Martinelli
produzione Ravenna Festival, Teatro delle Albe-Ravenna Teatro, "Circuito del Mito" della Regione Siciliana, Sensi Contemporanei col patrocinio di Amnesty International
Visto al Teatro Fabbricone di Prato il 26 febbraio 2012
La voce graffiante del mare

RUMORE DI ACQUE – Tenere i conti, decifrare i numeri: questo è l'unico compito del Generale, narratore della nostra storia. Apparentemente sembra non ci sia nulla di strano, se non fosse che i numeri da contare sono quelli dei dispersi nel Mediterraneo, delle anime che il mare ha risucchiato e che i pesci non hanno avuto pietà di salvare. Tanti i volti che quei numeri racchiudono: Yusuf, Sakinah, Jean Baptiste, lasciato andare in mare dalla madre con la speranza di riservargli un futuro migliore, Yasmine, spedita in Italia per trovare un lavoro "facile" e unica a salvarsi. Tante le tragedie che vengono portate a galla e che tutti i giorni fingiamo di non vedere. Rumore di acque di Marco Martinelli è lo specchio della nostra società, disinteressata a ciò cui assiste. Il Generale, costretto ad essere schietto e freddo nei confronti della morte, appare come un Caronte demoniaco incaricato dal "Ministro degli Inferni" di accogliere i cadaveri trovati in mare, ma in realtà è l'unico ad avere pietà di queste anime. Si lamenta se il suo stipendio è basso per fingersi disinvolto, critica gli "ammiragli figli di ammiragli" di essere incompetenti, perché sa che il mare è crudele e non ti dà una seconda possibilità. Tale personaggio, interpretato quasi meccanicamente da Alessandro Renda, ci conduce in un labirinto buio, tenebroso, in cui l'unica presenza di salvezza è data dalle musiche dal vivo dei Fratelli Mancuso. Non è casuale la scelta di inserire canti siciliani, perché l'ambiente che viene evocato è proprio la Sicilia, precisamente Mazara del Vallo, città affacciata sul Mediterraneo poco distante dalle coste tunisine. Non viene mai nominata, ma velata dietro la descrizione di un ambiente immaginario, quale quello di un'isoletta sperduta dove l'unico abitante è il Generale, a cui fanno compagnia solo gli spiriti dei morti. Un luogo di silenzio, ponte tra l'Africa e l'Europa. Un silenzio pieno di menzogna, di disgrazia, che viene rotto all'improvviso come un bicchiere di cristallo. Producendo scompiglio negli spettatori presenti durante questa rievocazione di vite di vittime obbligate a rimanere invisibili.

Sara Bonci

Letto 8833 volte Ultima modifica il Giovedì, 30 Agosto 2012 10:55
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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