Ideazione: Rachid Ouramdane Performance: Jean-Baptiste André, Lora Juodkaite, Mille Lundt, Jean-Claude Nelson, Georgina Vila-Bruch Musica: Jean-Baptiste Julien, Luci: Yves Godin, Video: Jenny Teng e Nathalie Gasdoué, Assistenza tecnica video: Jacques Hoepffner, Costumi: La Bourette, Assistente alla drammaturgia: Camille Louis, Supervisore: Erell Melscoët, Direzione tecnica generale: Sylvain Giraudeau, Direzione video: Jacques Hoepffner, Direzione luci: Stéphane Graillot Auditorium Parco della Musica di Roma, all'interno del Festival Equilibrio, 10 febbraio 2012 |
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La danza-documentario di Rachid Ouramdane Quando le porte della sala Petrassi si chiudono e si spengono le luci di sala, sul palco non c'è l'ombra di un danzatore. Anche lì è buio, totale. Una voce francese dall'accento straniero inizia a raccontare qualcosa e il palco si illumina della luce tenue dei sopratitoli bianchi per i non francofoni in sala. Il racconto è lungo, molto, e frammentario. E per il pubblico restare in ascolto al buio è quasi una tortura. Voluta senza dubbio da Rachid Ouramdane, coreografo franco-algerino e ideatore di "Ordinary Witnesses" che parla, appunto, di tortura, di violenza. Di genocidi ed educazione all'odio, di parole impronunciabili, pensieri irriconducibili a parole. Ricordi coscienti che vanno cancellati, e inconsci che, purtroppo, non abbandonano mai. "Ordinary Witnesses" parla di tutto ciò, letteralmente, perché lo fa con le parole registrate o videoregistrate di chi le torture le ha subite davvero, testimoni ordinari che vengono dal Brasile, dal Ruanda, dal Medio Oriente. Bruna Monaco |
Ideazione, direzione e scenografia: Jan Fabre Testo I am the all-giver: Jeroen Olyslaegers (basato su "Il Prometeo incatenato" di Eschilo) & We need heroes now: Jan Fabre, Musica: Dag Taeldeman, Assistenza drammaturgia: Miet Martens, Performers: Katarina Bistrović-Darvaš, Annabelle Chambon, Cédric Charron, Vittoria De Ferrari, Lawrence Goldhuber, Ivana Jozić, Katarzyna Makuch, Gilles Polet, Kasper Vandenberghe, Kurt Vandendriessche Lisa May, Luci: Jan Dekeyser, Costumi: Andrea Kränzlin, Coordinamento tecnico del tour: Arne Lievens, Sound & video: Tom Buys, Tecnico: Bern Van Deun, Produzione e tour management: Tomas Wendelen, English coach: Tom Hannes, Trainer vocale: Lynette Erving (capo della sezione "voce e linguaggio"della Bristol Old Vic Theatre School) Produzione: Troubleyn/Jan Fabre (Antwerp, Belgium) con il supporto di Flemish Government co-produzione: Peak Performances @ Montclair State University (Montclair, USA), Théâtre de la Ville (Parigi, Francia), Malta Festival (Poznan, Polonia), Tanzhaus NRW (Düsseldorf, Germania), Zagreb Youth Theatre (Zagrebia, Croazia), Exodos Ljubljana (Ljubljana, Slovenia), La Biennale di Venezia (Venezia, Italia), Bitef Theatre Belgrade (Belgrado, Serbia): all'interno di ENPARTS - European Network of Performing Arts e con il sostegno di Programma Cultura della Commissione Europea Teatro Olimpico, Roma, all'interno del Romaeuropa Festival, dal 5 al 6 novembre 2011 |
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Epater le bourgeois oggi Davanti al sipario chiuso, un uomo obeso, seduto, legato con nodi laschi alla sedia. Guarda il pubblico del Teatro Olimpico che si accomoda, numerosissimo. I millequattrocento posti tra platea e balconata sono quasi tutti presi. Indubbiamente Jan Fabre è un artista che attira spettatori. Suscita interesse, curiosità, talvolta disapprovazione manifesta: a Firenze, lo scorso anno in occasione della "Fabbrica d'Europa", un gruppo di associazioni animaliste organizzò persino un presidio contro di lui. Le istallazioni in cui si espongono cadaveri di cani, gatti e altri animali imbalsamati, non tutti le gradiscono. D'altronde l'obiettivo è proprio questo: tanto nei suoi spettacoli, quanto nelle opere di arte figurativa, Fabre cerca la provocazione. Bruna Monaco |
Di: Ambra Senatore |
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La scena scomposta di Ambra Senatore Caterina Basso, Claudia Catarzi e Ambra Senatore entrano una dopo l'altra, furtivamente, sul palcoscenico nudo, bianco. Scrutano le quinte ammiccando a qualcuno o qualcosa di invisibile. Si scambiano sorrisi complici, senza corrispondersi mai. Compiono movimenti insensati che somigliano poco a una coreografia. O azioni che potrebbero avere un senso (si tirano i capelli, si offrono una fragola, piangono, si sdraiano a terra come fossero morte), ma qui sono astratte: non ci sono elementi intorno che richiamino a un contesto. Non suggeriscono nulla e mettono a dura prova l'immaginazione del pubblico. Neppure la musica, che sempre salva in questi casi, dà coerenza a quanto avviene sulla scena: non un tessuto ma frammenti di brani slegati da qualsiasi nesso: dalla sigla di Occhi di gatto a Jimi Hendrix. Il volume è basso, tutto ovattato, ad aumentare lo spaesamento dello spettatore. Di tanto in tanto le tre interpreti scambiano brandelli di frasi, sussurrate, borbottate, incomprensibili. Poi si apre una faglia nel non-sense, le azioni diventano più precise, o meglio, più complesse e si intravedere una trama nella frammentarietà del discorso. Le microazioni, quelle unità minime di significato che fino ad ora erano apparse senza senso, raggruppandosi si coagulano. Così per il coltello da macellaio e la torta alla panna: prima ospiti misteriosi sul palco, piano piano si svelano oggetti di scena, oggetti di un racconto che a breve esisterà. Bruna Monaco |