XVI PREMIO EUROPA PER IL TEATRO A ROMA
Certamente il Premio Europa per il Teatro è il riconoscimento più importante al mondo da essere considerato l'Oscar teatrale. Nato a Taormina nel 1987 si pensava che questa splendida cittadina potesse essere il luogo più azzeccato per assegnare il prestigioso Premio. Invece dopo nove edizioni che ha visto premiati Ariane Mnouchkine, Peter Brook, Giorgio Strehler, Heiner Müller, Bob Wilson, Luca Ronconi, Lev Dodin, Michel Piccoli, il Premio nel 2001 rischiava di naufragare per mancanza di fondi. Fu la città di Torino e le Olimpiadi invernali del 2006 a dare nuovo ossigeno al X Premio assegnato quell'anno ad Harold Pinter, per trasferirsi negli anni successivi a Salonicco, due volte (Robert Lepage, Peter Zadek e Patrice Chereau), a Wroclaw (Kristian Lupa), a San Pietroburgo (Peter Stein), a Craiova (Mats Ek) e adesso nel dicembre del 2017 ancora in Italia, nato "come progetto speciale del Ministro dei Beni Culturali, a Roma, città in cui chiude idealmente l'anniversario dei 60 anni dai Trattati di Roma ed apre, in qualità di prima iniziativa, l'Anno Europeo del Patrimonio Culturale 2018". Edizione questa di Roma che ha consacrato vincitori Isabelle Huppert e Jeremy Irons, due star internazionali, forse più famose nel mondo del Cinema che in quello del Teatro, anche se entrambi, un po' risentiti negli incontri di Palazzo Venezia, hanno magnificato le loro presenze nei teatri parigini (Huppert) in quelli londinesi (Irons), al punto da fare dire a quest'ultimo durante la premiazione al Teatro Argentina d'andarlo a trovare nel West End di Londra nel gennaio del 2018 per le repliche di Lungo viaggio verso la notte di O'Neill.
Ha cercato Irons di rendersi simpatico al pubblico giocherellando e gigioneggiando un po' mentre aspettava la Huppert, che tardava a giungere sul palco, per leggere insieme poi alcune lettere d'amore tra Albert Camus e Maria Casares, al posto di alcuni brani tratti dalle opere di Guy De Maupassant annunciati in programma, cui faceva seguito una mise en espace o lettura scenica d'uno degli ultimi testi di Harold Pinter scritto e rappresentato nel 1996 titolato Ashes to Ashes (Ceneri alle Ceneri) che io vidi alla fine di ottobre dell'anno successivo al Biondo di Palermo con Adriana Asti e Jerzy Stuhr con la regia dello stesso Pinter all'interno del "Festival sul Novecento" diretto da Roberto Andò. E' una piccola pièce con due personaggi, Devlin e Rebecca, "entrambi sulla quarantina ", mentre qui Irons ha 69 anni la Huppert 64, entrambi seduti su due poltrone a parlare (leggendo) in quello che sembra essere un salotto di casa illuminato da una lampada con piedistallo. Probabilmente i due sono sposati, anche se la loro relazione non è definita esplicitamente. Inizialmente, Devlin sembra il marito o l'amante di Rebecca, potenzialmente pure il suo assassino. Alcuni critici hanno descritto la loro discussione come più tra un terapeuta e il suo paziente che tra due amanti o tra un marito e una moglie.
Comunque sia, nelle giornate che hanno preceduto la premiazione, studiosi critici e registi hanno approfondito al Palazzo Venezia le personalità di Irons e Huppert, entrambi poi colti a conversare, in due diverse giornate, con il critico del Guardian Michael Billington il primo e col presidente della giuria del Premio Europa Georges Banu la seconda. E se Mario Sesti ha parlato della voce particolare di Irons, delicata, dolce, oscura, controllata, Fanny Ardant ha detto che recitare con lui è come ballare, non occorre chiedersi altro. Irons sostiene che recitare è la sua seconda attività, la prima sono le costruzioni, le case, l'arredamento. Prima di fare l'attore vendeva mobili a Bristol, poi ha lavorato in una casa di aste. E' stata una sorpresa per quanti lo conoscevano quando ha cominciato a fare l'attore, puntualizzando che lui recita per vivere e non vive per recitare, avendo come fine ultimo una vita equilibrata, una bella moglie e dei figli, non perdendo il tempo in banalità perché la vita è breve. Accennando poi ad una sua apparizione d'attore nel musical My Fair Lady ha confessato d'essere nel posto sbagliato, non così quando interpreta i drammi di Shakespeare che ama più delle commedie. Rivelandosi un compagnone quando ha lavorato con Glenn Close a Boston nel The Real Thing di Tom Stoppard con la regia di Mike Nichols, perché gli piaceva il modo di stare insieme ai colleghi durante le prove o quando dopo la "prima" si aspettavano di notte l'uscita delle prime recensioni, che erano sempre molto belle con apprezzamenti alla sua prova d'attore. Con Pinter ha avuto un rapporto d'amicizia che si raffreddò per motivi politici essendo Pinter un socialista e lui no, adattando tuttavia per il cinema alcuni suoi lavori e interpretando la pièce Tradimenti giudicata pretenziosa e ricca di pause. Irons si professa un ambientalista, uno che ha a cuore il problema della plastica e del suo smaltimento, dichiarandosi contro gli inceneritori perché inquinano e procurano danni seri soprattutto ai bambini. E lui che fa? Prende la sua moto, si lascia dietro una Londra con un'aria irrespirabile e cerca nelle verdi campagne del Cheshire tranquillità pace e un'aria pulita. Confessa che al cinema ha imparato molto da Meryl Streep che gli detto che la telecamera è la sua amante e che non può mai girargli le spalle. Deve quasi flirtare con lei. Ricorda d'un Enrico IV vintage alla BBC che ha avuto molti consensi rispetto all'edizione teatrale e gli piacerebbe che qualche regista gli proponesse un lavoro di Cechov non importa quale e che poi da vero edonista, visto pure che i figli hanno finito la scuola, si vorrebbe godere la vita, liberare la sua testa scrivendo dei libri, senza precisare se romanzi o lavori teatrali. Riguardo agli attori Irons è convinto che spesso sono criticati, sembrano dei vagabondi e non sono dei modelli ideali per la società; mentre i registi per lui sono come gli chef che comprano il cibo, plasmano il soggetto e se lo fanno bene lo mettono nel piatto e lo fanno assaporare agli spettatori.
Bernard Faivre D'Arcier, presidente della Biennale di Lione e già direttore del Festival d'Avignone, ha condenzato la personalità di Isabelle Huppert in quattro punti: la curiosità, la naturalezza, la capacità di controllo, la semplicità. Ai quali Mario Martone ne è aggiunto un quinto: la regalità. Come quella di cui riluceva il maestro Claudio Abbado. Per D'Arcier la Huppert ha una particolare predisposizione al teatro, una natura gentile che il cinema ha rapito. Patti Smith, presente all'incontro, ha detto che lei è un uccello bellissimo e ogni volta che l'incontra è come la prima volta. Si è parlato di lei non solo di attrice che vuole conoscere tutti i dettagli ma anche di autrice, d'una maestra di livello superiore, precisa, rigorosa, puntualizzando il critico del The New York Times Charles Isherwood, che lei non vuole essere un'attrice intellettuale, una star, ma una semplice attrice in grado di esplorare ossessioni, crisi psicologiche, tutti gli strati delle passioni umane. Aggiungendo qualche altro partecipante che lei è una donna mistero, come che il personaggio di Blanche de Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams che Krzysztof Warlikowski ha messo in scena e che le ha permesso d'inventare un mondo. Il Teatro per la Huppert è uno spazio di libertà assoluta che nasce dall'estetica e dalla costruzione d'uno spettacolo. Osserva che come nel gioco dell'amore e del caso, non si può essere artisti disattenti, riferendosi a Bob Wilson incontrato una sera a casa d'amici a Parigi, che le ha proposto subito di fare Orlando di Virginia Woolf, mentre era in scena a Berlino con Jutta Lampe. «Il corpo d'una attrice - dice, rispondendo ad una domanda di Banu- è frammentato al Cinema, in Teatro è diverso, è un mistero. Il regista non è come il vigile che regola il traffico. C'è un mimetismo tra attore e regista».
Gigi Giacobbe