Festival Opera Prima
XX edizione
Rovigo, vari luoghi
26-30 giugno 2024
Visitato sabato 29 e domenica 30 giugno
Alla sua XX edizione (e al 30° anno dalla sua fondazione) il festival Opera Prima sembra sempre più connettere i suoi snodatissimi tralci ai tralicci più insoliti, i più visibili e i più immateriali della città di Rovigo. E’ segno della capacità di questa pianta multiforme di dare fioriture nei luoghi più impensati; ed è anche un florilegio, quest’anno, che ha colto nel vivo della loro attuale condizione alcune delle opere teatrali più significative presentate nelle passate edizioni. Le Ariette con “Teatro da mangiare?” e Roberto Latini con “Jago”, sono solo alcuni degli esempi in questo senso. Ma il reticolo del relazioni si amplia: si estende alle scuole superiori – per il quasi affollato laboratorio di critica condotto da Michele Pascarella, caso ancor più sorprendente se si pensa che la chiusura delle scuole invoglia di solito al disimpegno; al Conservatorio; al Ponte del Sale, raffinata casa editrice di poesia. E’ una vocazione alla relazione che riesce ad estendersi anche alla poliformità degli spazi investiti dall’immaginazione teatrale del gruppo rodigino. Spazi pubblici, all’aperto e al chiuso, che nei giorni del festival cominciano a parlare un’altra lingua, immaginifica, misteriosa, come nel caso del portico esterno della Gran Guardia dove abbiamo esperito “Rivolti”, di MOMEC_Memoria in movimento o dei Giardini Due Torri, dove ogni mattina gli artisti del giorno prima e del presente sono chiamati a fare il punto, in un incontro/confronto pubblico in cui possono misurare il nesso tra parole e azione, tra dichiarazione ed esperienza, tra intenzione e opera.
Nei due giorni della nostra presenza si coglieva una significativa aderenza tra il respiro della città e il movimento incessante della tessitura teatrale; che ha assimilato anche un’occasione cinematografica, con il notevole “Todos los males” di Anagoor, proiettato al Cinema Duomo – non semplice traduzione in ripresa di uno spettacolo (“Les Indes Galantes” di Rameau, riletto dal gruppo veneto), ma ricreazione dello stesso in uno slittamento di piani narrativi e metanarrativi che restituiscono la relazione non lineare tra i suoi elementi – e che infine ha espresso due nuove produzioni del Lemming, entrambe degne di nota: “Attorno a Troia_TROIANE” da Euripide, necessaria riflessione sulle conseguenze della guerra a partire dal dolente coro delle donne prigioniere: nove attrici/attori e nove spettatori, che condividono, in contatto fisico o in stretta prossimità, un rito intimo di congedo e di testimonianza, a tratti contemplativo, a tratti furioso. E’ la poetica-techne del gruppo: con la mente discorsiva dello spettatore resa inerme da una richiesta di mobilitazione fisica ed emotiva unica nel suo genere, per la quale egli si ritrova solo con se stesso, al cospetto di una forza teatrale che richiama, in chiave laica, l’intensità di un rito di iniziazione.
“L’urlo e altre Falistre”
Infine, “L’urlo e altre Falistre”, un esperimento di poesia a teatro condotto dal regista Massimo Munaro e dal fratello Marco, raffinato poeta ed editore di poesia.
Della necessità di una dimensione orale della poesia parla da sempre, forse con un po’ troppa enfasi, Mariangela Gualtieri; ma qui notiamo tre cose che spostano e arricchiscono la questione: la messa in forma di una possibile relazione della poesia con la musica; la filigrana del rapporto fraterno che si insinua tra i versi nell’evocazione dell’infanzia e di un paesaggio luminoso e aquatico, sorgivo; la sintesi teatrale tra due modi di dire la poesia che spesso stanno agli antipodi, e che qui trovano un peculiare equilibrio: il modo del poeta, misurato, preciso, scolpito, quasi centellinato e gustato; il modo dell’attore/musicista, dove parola e musica cercano una fusione, in una “lotta” d’amore, e dove l’atto del dire acquista impeto pienamente corporeo.
Franco Acquaviva