domenica, 15 settembre, 2024
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FESTIVAL D'AVIGNON 58° EDIZIONE TEATRO OFF. -di Gigi Giacobbe

Ciò che caratterizza il Festival d’Avignon, che gli dà un’aria di festa, con tutti i muri fasciati da manifesti e locandine, che vede ogni negozio, bar, ristorante o esercizio economico pieno zeppo di cartoline e immagini dei 1600 spettacoli programmati in 140 luoghi dal 3 al 21 luglio 2024, è il Teatro Off, il Teatro fatto dalle giovani compagnie provenienti non solo dalla Francia ma da ogni parte del mondo. Impossibile vederli tutti ma almeno due al giorno è una buona media, considerato pure che ci sono almeno sei o sette spettacoli del Teatro In che avevo messo in conto di seguire. Nelle precedenti edizioni riuscivo a vedere anche quattro o cinque spettacoli al giorno, favorito pure dal fatto che bastava presentare al botteghino del Teatro il tesserino di giornalista ed entravi senza battere ciglio. Adesso invece bisogna iscriversi all’ufficio stampa del Villaggio Off, ottenere il badge, telefonare o meglio inviare una mail agli uffici stampa dei tanti teatri e teatrini ed avere l’ok per poter assistere allo spettacolo che hai scelto. Ecco dunque Lucia Pozzi, attrice e regista di origini italiane, proporre con molta verve e al Teatro Optimiste Ami! Ami? (con punto esclamativo e interrogativo) che sintetizza il titolo della novella Amicissimi di Pirandello, intraducibile in francese, pubblicata nel 1903 e successivamente inserita in Scialle nero. La Pozzi ha curato adattamento e regia, interpretando con un vestito rosso anni ’30 e con una faccia ironica da punto interrogativo, il personaggio femminile che nell’originale è quello maschile di Gigi Mear, che una mattina gelida e ventosa, mentre attende il tram, gli corre incontro un signore, vestito da Hervé Belmontet, oltremodo loquace ed elegante in marsina, che dice d’essere un suo vecchio amico, uno sconosciuto agli occhi della donna che s’appiccica addosso senza potersene liberare. Qui non compare la domestica, ma s’aggira tra la coppia un tale, quello di Emmanuel Ballet, che dice d’essere lo stesso Pirandello, in vena pure di preparare manicaretti in cucina da leccarsi i baffi. Alla fine mentre lo sconosciuto lascerà la scena, la donna chiederà il suo nome ma l’uomo è già scomparso. Mi piace notare che l’affiche dello spettacolo, che ritrae due eleganti personaggi in stile Art Deco, è una delle più belle del Festival Off.- È stata una gradita sorpresa incontrare Gianfranco Berardi tra le strade di Avignone, lui non vedente che si ricorda subito di me appena comincio a parlare e mi dice che sta proponendo al Theatre de l’Atelier Florentin assieme a Gabriella Casolari il suo Hamlet take away che avevo visto sei anni fa al Festival Primavera dei Teatri di Castrovillari, recitato qui non in italiano ma interamente in francese. Da lì a qualche giorno vedo lo spettacolo e come al solito questo attore pugliese di Bitonto riesce sempre a farmi emozionare, come del resto ha emozionato gli amici parigini che mi accompagnavano. È un Amleto da asporto il suo, lo prendi, lo incarti e lo porti via in una realtà completamente rovesciata, dove la morale è raffigurata dalle banche strozzine e gli incontri dei vari governanti della terra somigliano a delle passerelle di moda, per nascondere possibili squilli guerreschi di tromba o politiche economiche per i ricchi e non per i poveri. Amleto, principe del dubbio, per Berardi è un Cristo in croce, un personaggio attuale, un’icona, quasi, del disagio di quei tanti giovani che vivono oggi tra dubbi e insicurezze. Berardi/Amleto è un personaggio contro, contro tutto ciò che non riesce a raggiungere e realizzare, tuffandosi di pancia anche quando gli avvenimenti gli si rivolteranno contro con esiti negativi. È un centravanti con la maglia dell’Inter, consapevole, anche quando non riesce a fare gol, che la sua squadra possa perdere miseramente, conservando però i pugni in tasca, per utilizzarli in una società votata ormai alla pornografia. Nella Salle Juliette Drouet la Compagnie Grand Tigre ha messo in scena con la regia di Etienne Luneau, suo pure l’adattamento, T.c.h.e.k.h.o.v., un lavoro su alcune schegge della vita di Cechov e con tre attrici (Elsa Robinne, Odile   Ernoult, Clementine Lebocey), con gli interventi a volte di Joseph Robinne, tutti a calarsi in alcuni personaggi che ritroviamo  ne Il gabbiano, Tre sorelle, Zio Vanja, Il giardino dei ciliegi. Gli effetti stranianti erano segnati da una ilarità latente, mista a tenerezza, che aveva il sapore della nostalgia e di una vita volata via senza avere avuto il tempo o la voglia di realizzare i propri sogni. Invece nella Salle Moliere, ricavata da un’antica fabbrica artigianale di seta simile ad una grande bolla ovale tutta in mattoni d’un rosso sbiadito, il Theatre Les Pieds Nus ha voluto rivisitare la storia di Cyrano tratta dal romanzo di Rostand con l’attraente regia di Bastien Ossart e tre brave attrici (Louisa Deco, Iana Serena de Freitas, Mathilde Guêtré-Rguieg) che indossavano costumi colorati e buffe maschere dei personaggi più importanti, in stile commedia dell’arte. Lo stesso Bastien Ossart, ha messo in scena nel Theatre du Chien Noir Le bourgeois gentilhomme (Il borghese gentiluomo) di Molière con un gruppo affiatatissimo d’attori (Iana-Serena De Freitas, Mathilde Guêtré-Rguieg, Liwen Liang , Benoit Martinez, Nicolas Quelquejay, pure il regista Ossart) meritevole d’essere inserito nel programma ufficiale del Festival In e certamente il miglior spettacolo tra quelli visti nel Festival Off.  Lo spettacolo ha l’andamento d’un musical, in cui si mescolano vari generi teatrali: commedia dell’arte, teatro barocco, cabaret e circo. Gli interpreti sono truccati pesantemente, i costumi sono molto colorati, la musica batte il ritmo dello spettacolo e la parola d’ordine è: al diavolo il realismo. Sulla scena gli attori si divertono, trasmettendo la stessa felicità al pubblico che li ricambia con applausi infiniti. Reveries (che possiamo tradurre con Fantasticherie) è lo spettacolo che Juliet O’Brien ha messo in scena nella Salle Jacques Fornier con un quartetto di attori in gamba (Kamel Abdelli, Alexandre Delawarde, Isabelle Labrousse, Marion Träger) che raffigurano tre generazioni del secolo scorso. Lo spettacolo tende a seguirli lungo l’arco della loro vita, tra paure, sogni e speranze e come in una danza, i protagonisti con uno schiocco di dita si cambiano d’abito e raccontano i fatti che meglio ricordano, passando da un personaggio all’altro, vissuto in epoche diverse.  Ho visto pure al Theatre du train blu Vive, testo di Joséphine Chaffin, pure regista assieme a Clément Carabédian, quest’ultimo anche protagonista assieme a Estelle Clement-Bealem, Hermine Dos Santos e Patrik Palmero. Il lavoro ruota attorno ad un processo che ha per protagonista una ragazza di nome Anais che ha subito violenza sessuale da suo padre che fa lo chef.  Il racconto è una sorta di viaggio pieno di flas-baks, con i protagonisti che si muovono dal tribunale alla cucina, dagli spazi pubblici a quelli privati, sino nella propria intimità. Devo confessare che questo è stato lo spettacolo che mi è piaciuto di meno, forse perché troppo farraginoso e il sapore del deja vu.-   

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Mercoledì, 31 Luglio 2024 23:30

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