Il 14 luglio, nell’ambito del Festival Basaglia 100, e in collaborazione con le Fondazioni Giuliano Scabia e Santa Maria Nuova e con l’Archivio Basaglia, due cavalli, il primo leggendario per storia, il secondo per progenitura e parentela, si sono incontrati idealmente nel parco dell’ex manicomio di San Salvi a Firenze, sede della compagnia Chille de la balanza. Il primo leggendario per storia perché è il Marco Cavallo, di cartapesta e legno, della liberazione dei “matti” dal manicomio di Trieste nel 1973; il secondo – realizzato con materiali riciclati dai rifiuti in plastica dei cittadini del quartiere dall’artista Edoardo Malagigi – leggendario per progenitura, perché riprende il disegno di Leonardo per il cavallo sforzesco in bronzo mai realizzato a Milano; e per parentela, perché lo si è voluto far derivare dal Marco Cavallo in quanto simbolo in qualche modo riassuntivo, benché “statico”, di una storia “di movimento” in senso letterale e figurato.
Il primo cavallo, nel 1973, esce dal manicomio e incontra la città; il secondo, nel 2024, rientra in un manicomio tornato alla città e vi si ferma: questo il senso della visione che Claudio Ascoli, dal 1973 direttore dei Chille, ha voluto creare intorno alla costruzione partecipata, comunitaria, coprogettata del nuovo cavallo, collocato in modo che sia visibile anche dai treni della tratta Firenze-Roma che corre parallela al muro del parco. E’ come se in questo modo il simbolo, ripreso e trasmutato in opera d’arte pubblica, potesse farsi oggetto di un dinamismo indiretto per la convergenza su di sé di sguardi passanti e presenze contestualizzate, affiancando il lavorio poietico della scultura mobile, e mobilitante, originale.
Cavallo di San Salvi. Foto Franco Acquaviva.
Ma soprattutto, lo scopo è tenere viva la memoria della visione basagliana della cura, intesa come approccio integrato al disagio mentale, dove non solo l’aspetto medico, ma anche quello relazionale e sociale prendono parte al processo. “Il soggetto curato che a sua volta cura chi cura”: questa la sintesi, dal barbaglio aforistico, della “rivoluzione inquietante” di Basaglia che conia Giuliano Scabia. E proprio lui, il poeta del vagare per fare anima, che non è il divagare disanimato, decorpizzato, della comunicazione “meccanica e telematica”, racconta, in un testo inedito, il corteo che nel 1998 aprì al Cavallo e ai partecipanti il paesaggio, ai più sconosciuto, del parco di San Salvi, città dentro la città, in cui il teatro dei Chille aveva appena trasferito la sua sete di incontri e di alterità incidendola nella geografia di un luogo dove l’alterità, fino a non molto tempo prima, era stata segregata e punita.
Il racconto in questione è tratto dall’Archivio Scabia, per concessione della Fondazione omonima, che il 14 luglio era rappresentata da Cristina Giglioli Scabia, la vedova del poeta e presidente della Fondazione, e dallo studioso Andrea Mancini, che ha dato lettura del testo. E’ un tipico racconto scabiano in prosa, dove la scansione versale compare qua e là, quasi inavvertita, e si colora di una tensione a volte aforistica a volte immaginifica; in cui l’uso dei trattini contribuisce a isolare parole, come immagini scontornate, e il ritmo, imposto a tratti dall’uso, di derivazione campaniana, dei due punti, informa la visione in una sequenza di dettagli “a cannocchiale”, con un movimento che va dall’esterno all’interno: “il cavallo nel manicomio: le ombre: fuoco: i bellissimi alberi: piano piano: c’è commozione: è un luogo vuoto e fa malinconia: escono gli utenti (i matti), ultimi abitanti: fra poco si chiude: che si farà di questo parco stupendo?”.
Franco Acquaviva