4 agosto, Chiesa di Sant’Agostino
Con disperate ali
GIUSEPPE ETTORRE contrabbasso
PIERLUIGI DI TELLA pianoforte
Franz Schubert
Lied op. 32 in re magg. D. 550 “La trota” (1816-17)
Franz Schubert
Sonata in la min. D. 821 “Arpeggione” (1824)
Allegro moderato
Adagio
Allegretto
Johannes Brahms
Sonata n. 1 in mi min. op. 38 (1862-65)
Allegro non troppo
Allegretto quasi Menuetto e Trio
Allegro
Corde lunghe, robuste, Corpo con punte scolpite e con una fisica estensione. Il contrabbasso ha in se quel suono verso l’essere che lo adopera che non ha eguali. L’anima che è dentro quale paradigma di una propria proiezione serve a far arrivare da questo strumento tutta una forsennata fonte sonora che prende dal fondo di ciò che è musica. E’ nell’essere musicista poi l’arte di essere unici e sapere che quando si sale sul palco quello che arriva è di alto intelletto e di alta musica. Nel caso del concerto di Giuseppe Ettorre e di Pierluigi Di Tella questo è sopra ogni aspetto di comunicazione. Suonare il contrabbasso non è facile soprattutto quando intorno a questo strumento la letteratura non è ricca o se spesso c’è non sempre è facile renderla comprensibile. Ebbene quando dall’hifi contrabbasso/pianoforte si diffonde la musica di Schubert si capisce che quella diffusione è di una contemporaneità incredibile. Poiché la musica di Schubert ha in se quell’impercettibile senso di sovranità dei sentimenti che quasi nessun compositore della sua epoca possiede. Poi quando la sua scrittura serve per archi così particolari come oggi è il contrabbasso (all’epoca l’arpeggione) quello che esce è di fortissima musicalità. E’ quello che Ettorre e Di Tella nella loro società di comunicazione riescono a trasmettere e che si trova proprio in quel misterioso intento che nasce dalla sinestesia di strade parallele e di esperienze che portano ad un punto d’incontro. Pertanto sia La Trota che L’Arpeggione scavalcano il tempo conosciuto per approdare in un tempo non comune, per pochi comprensibile. Non è questione solo di tecnica. Suonare come fanno Ettorre e Di Tella non è cosa comune, anzi. Non è solo la bravura. C’è dell’altro che naturalmente appartiene al loro segreto di duo. Ma che arriva però come messaggio di emozioni e di sensazioni. Suonare Brahms in un lavoro di trascrizione, che vuol dire ricostruzione sonora, significa rendere la società di comunicazione Ettorre e Di Tella quella rarità che chi ha la fortuna di conoscere sa che tale è. La Sonata op. 38 che ha in se tanta di quella musica dentro, diventa continuità con una idea che non ha più riferimenti costanti o definiti. Brahms rompe quella idea di continuità con, Mozart, Haydn e con Beethoven. Trasforma il pathos in lirismo e fa dell’opera cameristica più della sinfonica quello che è oggi il suonare con l’arte del farlo. Con Brahms è necessario il professionismo poiché le trame che intesse sono complesse complicate e non basta essere diplomati in strumento per suonare le sue musiche. Pertanto Ettorre e Di Tella comperano il segreto alchemico che è in Brahms e ne fanno la fortuna dell’ascoltatore che sa di trovarsi ad ascoltare qualche cosa di unico e speciale. Nel senso comune basterebbe scrivere che sono bravissimi ma non è quello che per noi hanno rappresentato. E’ altro, è segreto. Rimane nel non scritto. Perché ci sono cose che non serve scriverle, spiegarle. Siamo ad altri livelli. Pertanto con il Tema di Deborha di Morricone quello che era un hifi diventa altro, altro mondo, altro suono, altro di tutto. Con il pedale di Stefano Jacoviello in sound. La bellezza era in S. Agostino. Poi Bottesini riconduce al verbo del concertismo. Noi ancora siamo lì a capire dove Ettorre e Di Tella hanno preso l’alchemico segreto del suonare come loro fanno. Forse in mezzo alle terre dell’Emilia e della Romagna o in mezzo ad una umanità che non ha pari. A futura memoria.
Marco Ranaldi