prima assoluta
di Roberto Bolaño
adattamento e regia Àlex Rigola
con Andreu Benito, Joan Carreras
assistente alla regia Jordi Puig "Kai", scene Max Glaenzel, Raquel Bonillo, luci August Viladomat, costumi Berta Riera
produzione HEARTBREAK HOTEL, Teatre Lliure
in coproduzione con Teatro de La Abadía
in collaborazione con la Biennale di Venezia
Biennale Teatro, Venezia 2013 - 3-6-7 agosto
Spazio bianco. Due sedie, due microfoni, una sacca di sangue, un oggetto non identificato coperto. E due uomini, vestiti di nero a raccontarci la storia di Pepe el Tira.
Pepe è un poliziotto soprannominato "delle fogne" perché è l'unico ad addentrarsi nelle profondità più insondate, in cerca di dettagli, di indizi, l'unico a non darsi pace fino a che la verità emerga, lucente e incontestabile. E questa sua vocazione lo porta un giorno a ritrovare in un cunicolo oscuro, una donna, la gola recisa, e un neonato al suo fianco. Sul corpo del piccolo nessun segno di violenza: l'autopsia rivela che la morte è sopraggiunta per denutrizione. Quelle morti segnano la vita di Pepe irreversibilmente: i suoi superiori liquidano la vicenda imputando la colpa ad un qualsiasi predatore, ma quale predatore non si sarebbe cibato della propria vittima? Chi avrebbe potuto uccidere un suo simile solo per il piacere di farlo?
Parliamo di uomini? No, parliamo di topi. La ragazza uccisa, la prima di una serie di vittime, giace sul palco coperta. Al suo svelamento un moto di disgusto: è il cadavere di un ratto enorme quello che appare sotto i nostri occhi, mentre una piccola cavia su cui la sacca di sangue riversa il suo contenuto è il neonato al suo fianco.
Due attori eccelsi (Andreu Benito e Joan Carreras), sotto la direzione attenta e meticolosa di Alex Rigola (direttore del settore teatro di questa edizione della Biennale), si calano perfettamente in questa dimensione kafkiana (il racconto di Bolano omaggia infatti "Giuseppina la cantante, ovvero il popolo dei topi" di Kafka) in crescendo di tensione fino ad arrivare al confronto diretto tra Pepe e il serial killer.
Un'affascinante metafora, un'allarmante denuncia di quello che stiamo diventando e che in parte siamo già: animali senza identità, esseri mutanti alla deriva, abbandonati ad un istinto che ormai non segue più la natura e quindi destinati ad un'inevitabile estinzione.
D.G.