Io non so se sia una moda del momento o un morbo che va diffondendosi nel nostro paese a cominciare dall'inizio del terzo millennio, ma osservo che a molti teatranti non basta più mettere in scena un solo spettacolo per esprimere il proprio pensiero, ma che hanno bisogno di dirlo in trilogie o in progetti tri o pluriennali. Mi salta alla mente subito la "Trilogia sulla famiglia" (mPalermu, Carnezzeria, Vita mia) o quella "degli occhiali" (Acquasanta, Il Castello della Zisa, Ballarini) di Emma Dante, la "Trilogia sul limite" (Due passi sono, T/empio - critica della ragion giusta, Conferenza tragicheffimera - sui concetti ingannevoli dell'arte) di Cristiana Minasi e Giuseppe Carullo, il triennale Progetto Ligabue di Mario Perrotta conclusosi in terra d'Emilia giusto poco tempo fa, il pluriennale Progetto sul Discorso della Compagnia Fanny & Alexander poggiante su alcuni colori cui si fa corrispondere altrettanti ambienti sociali. E certamente ce ne saranno altri Progetti che mi sfuggono. Questo per dire che anche Angelo Campolo e Annibale Pavone, per conto dell'Associazione DAF di Messina, in collaborazione con il Teatro Vittorio Emanuele, rientrano di diritto in questo mio pensiero perché artefici d'un Progetto sul "Pinocchio di Collodi" suddiviso in quattro capitoli-spettacoli diretti da quattro differenti registi (oltre gli stessi Campolo e Pavone, Paride Acacia e Giacomo Ferraù) alle prese con i temi che riguardano l'Istinto, la Solitudine, l'Inganno, l'Amore, sentimenti insiti nel burattino più famoso del mondo.
Un viaggio ideale che gli spettatori (più di 6 mila da novembre a giugno) hanno compiuto nella Sala Laudamo all'interno di quelle quattro stanze per esplorare quei quattro temi infiocchettati, da ottobre a giugno di quest'anno, da trenta giovani attori del laboratorio di ricerca teatrale permanente "Nel Paese dei Balocchi" in grado di cantare danzare recitare.- Lo spettacolo di Campolo che ha come scenografia solo un nugolo di sedie di legno scendono giù dalla graticcia, titolato Istinto, ha un inizio da training ginnico durante il quale ogni attore è un pezzo di legno che puoi trovare nella bottega di Mastro Ciliegia diventata una Spa, un centro benessere in cui, come in un supermarket, puoi comprare quello che ti piace. Lo spettacolo per niente superficiale è uno spaccato della nostra società di oggi, che bada più all'apparenza che alla sostanza, in cui puoi comprare o vendere qualunque cosa, pure te stesso, corrompere e dire bugie, promettere senza mantenere, con la sola visione d'un futuro senza speranza. All'inizio Pinocchio è un finto bambino e Geppetto un finto padre, entrambi hanno paura d'assumersi responsabilità e doveri, poi è l'Istinto a spingerli a stare insieme, cercare di non essere cancellati da una società egoista che ha perso il senso della solidarietà e del vivere civile. E quando il burattino cresce cercando una propria autonomia le loro strade saranno segnate dalla Solitudine, argomento questo trattato da Pavone attraverso l'idea dell'assenza. Infatti se si fa attenzione Geppetto e Pinocchio s'incontrano solo all'inizio e alla fine, nel mezzo c'è appunto la Solitudine, la mancanza fisica di padre e figlio. E se le generazioni passate avevano bisogno metaforicamente di ammazzare il padre, magari scrivendogli una lettera come ha fatto Kafka, quelle successive vedevano padre e figlio relazionarsi quasi da amici, da coetanei che si chiamavano per nome, adesso invece sono i figli ad avere bisogno d'un padre che indichi loro il senso della vita, che dica loro autorevolmente che la vita va vissuta comunque sia, con le proprie crisi e le proprie debolezze e l'obiettivo sarà quello d'incontrarsi e stare insieme, come accadrà al burattino nel buio del ventre della balena quando troverà sé stesso e potrà riabbracciare il padre. Ma la vita è fatta di tradimenti e d'inganni e Paride Acacia nel trattare il terzo capitolo, appunto quello dell'Inganno, agghinderà la scena come un Luna Park guarnito di maschere con lunghe linguacce (quelli disegnati da Francesca Gambino) che ci ricordano subito quel tonante e paterno Mangiafuoco, qui in numero di quattro, che consegnerà al Pinocchio di turno (Marco Mondì) cinque monete d'oro che invece di portarle a Geppetto (Lelio Naccari) si farà abbindolare e derubare dal Gatto (Roberta Catanese) e dalla Volpe (Laura Giannone) che per giunta l'impiccheranno, salvato subito dopo dalla Fata dai capelli turchini. Forse è il capitolo più divertente dei quattro, per gli episodi che vi si narrano in stile Rocky Horror Picture Show, nei disegni ritmici di Peppe Pullia, senza un attimo di tregua e in cui gli avvenimenti si succedono accompagnati tutti da ritmi musicali indiavolati eseguiti dal vivo con chitarre e percussioni. Sono sette i Lucignolo che arrivano in scena su carrelli da supermarket con coppole di pelle nera, quasi come quelli kubrickiani dell'Arancia meccanica, con l'intento di chiudere scuole, giocare e godere di tutto, che spingono Pinocchio a fargli fare un viaggio nel Paese dei Balocchi, di fatto ingannandolo perché verrà imbottito di droghe e allucinogeni tipo Lsd, mentre si diffondono in sala le dolci note di Lucy in the Sky with Diamonds dei Beatles. Pinocchio non è una semplice favola, perché ad un attento esame è un libro ricco di elementi esoterici e di riferimenti alla buona massoneria non quella deviata - del resto pure Collodi era massone iscritto alla loggia di Firenze - e vive di profondi contenuti e simboli archetipici che attengono alla psicoanalisi e ai vari cicli della nostra vita. Lo spettacolo prosegue poi riassumendo i vari momenti della vita di Pinocchio da quando si trasforma in asino a quando verrà gettato in mare, divorando i pesci il suo involucro asinino a quando inghiottito da una balena incontrerà Geppetto al suo interno, a sua volta inghiottito nella ricerca affannosa del suo burattino, che dopo aver fatto qui una sorta di transustanziazione alchemica diventerà un bambino vero.- Un bambino senza essere stato partorito da una madre, quella che tanti intravedono nella Fata turchina che nell'ultimo capitolo del Progetto, titolato Amore, completamente reinventato dal giovane regista Giacomo Ferraù, con Giulia Viana, in una drammaturgia collettiva, viene chiamata a viva voce dall'intero gruppo dei tanti Pinocchietti con cono colorato in testa, se per caso non sia in sala. Lo spettacolo è suddiviso i vari capitoli che vedono il bambino crescere, andare a scuola, frequentare gli amici, dare il primo bacio alla fidanzatina, il dolore o la stizza quando lei lo lascerà per un altro, gli sms, i messaggi, l'omosessualità, i rapporti d'amore, la casa, i bisticci, i figli, la vecchiaia, la morte. L'amore trattato in tutti suoi aspetti con lievità e ironia, con canti e musiche dal vivo, riscuotendo consensi e applausi davvero meritatissimi e che certamente vanno almeno citati i loro nomi: Patrizia Ajello, Giulia Sara Arcovito, Mario Aversa, Francesca Baudo, Roberta Catanese, Roberta Costanzo, Simone Corso, Noemi Bevacqua, Nunzio Bruno, Aurora Ceratti, Carmelo Crisafulli, Gabriele Crisafulli, Luca D'Arrigo, Antonella De Francesco, Dario Delfino, Diego Delfino, Adele Di Bella, Bruno Di Sarcina, Alessandro Fazio, Gabriele Furnari Falanga, Laura Giannone, Francesco Grasso, Gabriella La Fauci, Adriana Mangano, Marco Mondì, Lelio Naccari, Massimo Pino, Lorenzo Pizzurro, Rosario Popolo, Sara Quartarone, Nicole Rossitto, Alessandro Santoro, Gianluca Sciliberto, Serena Sicilia, Giada Tarantello, Damiano Venuto, Antonio Vitarelli. I movimenti coreografici erano di Sarah Lanza, le scene e i costumi di Giulia Drogo.-