Regia, coreografia e costumi: Constanza Macras
Con: Louis Becker, Emil Bordás, Lucky Kele, Fernanda Farah, Mandla Mathonsi, Thulani Mgidi, Melusi Mkhwanjana, Felix Saalmann, Fana Tshabalala, John Sithole, Mpotseng "Braven" Nhlapo, Zandile Hlatshwayo
Visual Artists: Ayana V. Jackson, Dean Hutton
Assistenza costumi e allestimento: Marcus Barros Cardoso
Drammaturgia: Carmen Mehnert
Berlino, Teatro Maxim Gorki, 22 e 23 gennaio 2016
Dopo la première sudafricana del febbraio scorso, On Fire, spettacolo della regista argentina Constanza Macras, è stato ospitato per la seconda volta al Teatro Maxim Gorki di Berlino. Si tratta di una performance che si basa sulla commistione di diverse forme artistiche (danza, musica, testo e video) per analizzare la presenza di tradizioni e riti in centri urbani moderni. A tal fine la regista ha riunito interpreti sudafricani e il suo ensemble di danza Dorkypark, creando un team internazionale di ballerini, performer e musicisti. Lo spettacolo si serve anche della proiezione, sullo sfondo, di fotografie dell'artista afroamericana Ayana V. Jackson, che rimandano a riti e tradizioni.
La danza è il fulcro della performance. On Fire si apre con l'esibizione di un ballerino africano e un ballerino europeo: la danza dei due interpreti è un confronto tra opposti che gioca su immagini dell'altro e del diverso, del bianco e del nero. Improvvisamente il confronto diventa scontro, lotta, sfida, in cui si oppongono uomo e donna, vecchio e nuovo. Anche sul piano musicale lo spettatore assiste a un incontro-scontro di moderno e tradizionale, a una commistione di musiche tribali africane e street dance (hip-hop, break dance e dubstep).
Il mix di forme artistiche e musicali si associa a quello dei contenuti tematizzati, a scapito della comprensione dello spettatore che è destinato a rimare un outsider. Nella seconda parte dello spettacolo, che associa infatti la recitazione alla danza, i concetti focalizzati vengono il più delle volte nominati apertamente, conferendo alla performance un tono eccessivamente didascalico, ma non per questo chiaro o divulgativo. Discorso postcoloniale, teorie identitarie, culto degli antenati, post-apartheid: tutto si mischia in un vortice postmoderno di concetti che non vengono approfonditi, bensì toccati perifericamente, senza che ci sia tempo o modo di articolare una riflessione critica degli stessi.
La bravura tecnica e interpretativa dei ballerini dell'ensemble non viene corrisposta dunque da una sufficiente chiarezza contenutistica. Il pubblico è destinato a lasciare la sala con l'amaro in bocca.
Gloria Reményi