Balletto in tre atti
Coreografia di John Cranko
Musica di Pëtr Il'ič Čajkovskij
Arrangiamento e orchestrazione: Kurt-Heinz Stolze
Libretto: John Cranko da Aleksandr Puškin, Eugenio Onegin.
Scene e costumi: Jürgen Rose
Luci: Steen Bjarke.
Con: Stéphane Bullion, Mathieu Ganio, Josua Hoffalt, Hugo Marchand, Audric Bezard, Amandine Albisson, Dorothée Gilbert, Laura Hecquet, Ludmila Pagliero, Sae Eun Park
e il Corpo di Ballo dell'Opéra national de Paris.
Orchestra dell'Opéra national de Paris. Direttore: James Tuggle
Parigi, Opéra national de Paris, Palais Garnier, dal 10 febbraio al 7 marzo 2018
"Et le bonheur était si proche, si possible!...": Onegin all'Opéra de Paris
Di sicuro interesse è il lavoro che ambisce ad indagare l'inesauribile introspezione psicologica e l'ineludibile riflessione sull'esistenza dell'uomo riverberata in personaggi di prima grandezza della letteratura che seguitano a rispecchiare sprazzi di atmosfere, di destini e di vite a noi prossime. Un'occasione considerevole, sotto questo rispetto, è offerta da Evgenij Onegin: l'"opera più intima e autentica di Puškin" - secondo Belinskij nel suo Sočinenija Aleksandra Puškina. Stat'ja Vos'maja. «Evgenij Onegin». - è, per l'appunto, fonte di plurimi rivoli cesellati nel territorio del dramma e dell'autocoscienza dell'umano. Ambito, questo, che com'è noto fu lo spunto cardinale di un lavoro coreografico divenuto, senza dubbio, un capolavoro del balletto narrativo e che vide la luce per la prima volta nel 1965 a Stoccarda e nel 2009 entrato nel repertorio dell'Opéra national de Paris.
Oggi, dopo le riprese del 2011 e del 2014, il titolo di John Cranko torna sul palco del tempio della danza francese per ventuno rappresentazioni con un ampio squadernamento di artisti in alternanza offrendo un vasto spaccato di interpretazioni, modulazioni, registri e dimensioni umane nella sapiente scrittura coreografica del balletto. Un lavoro, quello del coreografo sudafricano, che impone diffusamente un inevitabile spessore drammaturgico reso manifesto, ad esempio, nel giovane Onegin: un personaggio capace di riflettere quell'imperscrutabile complessità che esige profondità dello scandaglio emotivo. Vigore e verità d'esistenza nel nebuloso Evgenij che abbiamo ravvisato in Audric Bezard ed introdotti in quello che è noto come il book pas de deux del primo atto. In questo segmento del balletto gli sguardi reiteratamente inquieti del premier danseur della troupe parigina divengono il preludio di ciò che nel prosieguo dell'opera troverà corroborante avvaloramento. L'Onegin di Bezard permane risolutamente "sempre d'umor nero e sempre in preda ad insanabil noia" come la Tatiana di Puškin eterna nella celebre lettera. Pennellate di pensiero, le sue, cristallizzate nell'emblema del ruolo: il gesto eloquente della mano destra sulla fronte accortamente inscritto nella struttura coreografica.
Tempra interpretativa - incisa in un soddisfacente sviluppo tecnico - gradualmente avvicinata alla lievità del registro consegnato da Dorothée Gilbert nei panni di Tatiana. Nel corso della narrazione coreografica dell'ultimo pas de deux del primo atto la partnership viaggia palesando ampia fluidità tecnica. Tatiana è qui una donna dalla verve interpretativa lineare e mai esacerbata, Onegin svela quella poderosità che il ruolo impone e filtrato dagli occhi sognanti dell'eroina del poema.
In cerca di clamore l'umiliazione subita da Tatiana nel secondo atto al momento dell'emblematico gesto della lettera strappata ma l'étoile francese guadagna l'inderogabile e irremovibile risolutezza nel terzo atto in quel passo a due finale che è l'etico epilogo del dramma. Colei che secondo Dostoevskij "sente con il suo nobile istinto dove e in che cosa sta la verità" qui giova di un'interprete che vive vigorosamente l'afflato d'amore ma opta, senza esitazione, per il ripudio quale scelta inevitabile. È così che Dorothée Gilbert mostra, nella perfetta scrittura coreografica e nell'appagante e vivida intesa tecnica con Bezard, di essere realmente "l'apoteosi della donna russa".
Da menzione Jérémy-Loup Quer in Vladimir Lenski: l'assolo che precede il duello è l'opportunità cardinale per scorgere un danzatore di talento nel modulare la tensione drammaturgica con plurime visioni spettrali intagliate in un rilievo tecnico in maturazione. Persuasiva la tenera Olga di Muriel Zusperreguy.
Un dance drama che all'Opéra giova ancora delle scene e costumi firmati da Jürgen Rose per la prima edizione del 1965: compiutezza estetica in impeccabile armonia con il tessuto narrativo del balletto.
Al maître de la chorégraphie psychologique - come recentemente definito da Jiří Kylián - è da tributare il grande merito di aver concepito e donato un'opera in cui la danza svolge l'arduo compito di divenire puissance dramatique nel dialogo degli errori, dei dolori e delle debolezze dell'uomo filtrate nell'immagine dell'annoiato aristocratico. Uno spazio d'azione nel segno dell'arte coreutica che è possibilità di prossimità con lo spettatore, possibilità della negazione, della disperazione, della solitudine d'esistenza e finanche occasione di vivere ed indagare una lacerazione affine nella consapevolezza di quanto "la felicità era così possibile, così vicina!...".
Vito Lentini