Balletto in tre atti
Coreografia di Kenneth MacMillan ripresa da Karl Burnett
Musica di Franz Liszt (arrangiamento e orchestrazione di John Lanchbery).
Libretto di Gillian Freeman
Scene e Costumi di Nicholas Georgiadis
Consulente artistico e tecnico per le scene: Cinzia Lo Fazio
Luci: John B. Read.
Con: Stéphane Bullion, Mathieu Ganio, Hugo Marchand, Paul Marque, Dorothée Gilbert,
Ludmila Pagliero, Hannah O’Neill, Hohyun Kang e il Corpo di Ballo dell’Opéra national de Paris
Orchestra dell’Opéra national de Paris. Direttore: Martin Yates
PARIGI, Opéra national de Paris, Palais Garnier, dal 25 ottobre al 12 novembre 2022
Mayerling e la necessaria entrée au répertoire
I lettori più attenti del nostro Portale dello Spettacolo ricorderanno che il mese scorso abbiamo seguito e recensito una delle prime recite del balletto Mayerling alla Royal Opera House di Londra. La straordinaria concomitanza che si segnala in questo scritto riguarda, di converso, l’entrée au répertoire del medesimo titolo all’Opéra National de Paris. Nell’anno che segna il trentesimo anniversario della morte di Kenneth MacMillan - coreografo scozzese autore del tragico balletto che porta sulla scena la voraginosa e misteriosa morte del Principe ereditario Rodolfo d’Asburgo-Lorena e della sua amante, la baronessa Maria Vetsera, proprio in quella residenza di caccia tra i boschi viennesi dal nome Mayerling - il massimo teatro francese volge l’attenzione, infatti, all’estetica d’oltremanica e alla creazione del 1978 portando a sei il novero dei titoli di Kenneth MacMillan attualmente presenti nel repertorio dell’Opéra. Una produzione, quella francese, realizzata in collaborazione con il Covent Garden e che per sedici rappresentazioni consente ai ballettomani d’oltralpe di scoprire, per la prima volta, un capolavoro coreografico che a ragione è considerato tra gli apici del dramma psicologico in danza nonché lavoro capace di offrire ai danzatori uno dei ruoli più impegnativi della storia della danza.
Per l’occasione le recite proposte hanno offerto la preziosa opportunità di squadernare alcune delle punte di diamante della troupe francese, fra esse segnaliamo, in particolare, l’étoile Hugo Marchand. Se è vero, come sostiene Clement Crisp, che Kenneth MacMillan “è un magnifico poeta erotico del movimento” possiamo a rigore sostenere che con l’étoile francese abbiamo finalmente compreso una delle possibilità di senso dell’affermazione del noto critico britannico. Con Marchand, infatti, il Principe Rodolfo d’Asburgo-Lorena a partire dal secondo atto palesa, senza riserve e con lapalissiana manifestazione, l’erotismo di un movimento che dona allo spettatore la possibilità di vivere una relazione con la baronessa Maria Vetsera libidinosamente appagante, empiricamente pervasiva, incisivamente condivisa. La sensualità maschile vigorosamente radicata che Marchand manifesta e dispensa nel personaggio sembra imporre una risposta, una valida risposta, a quanto il coreografo scozzese volle tratteggiare nell’immagine del seduttore tormentato. Dorothée Gilbert è la sua partner d’elezione e anche in questo titolo non lesina sulla condivisione empatica di un amore tetro, difficile dimenticare nel terzo atto lo sguardo autenticamente angosciato di Gilbert allorquando il suo amato, afflitto, guadagna momentanea serenità con la morfina.
Un'ulteriore menzione di merito è da riservare, inoltre, all’elegante abilità coreografica ed interpretativa mostrata da Marchand nel modulare la fragile rigidità del primo atto - capace di trascinarlo in un vissuto mai veramente scelto - con il timore reverenziale implorante del passo a due condiviso con la madre - l’Imperatrice Elisabetta qui affidata a Laura Hecquet - e con la disinvolta anamnesi coreografica del disordine psichico che tratteggia l’assolo della quarta scena del secondo atto. Nella chiusa del primo atto, di converso, la condivisione del risoluto passo a due con Silvia Saint-Martin nei panni della Principessa Stefania sembra funzionale alla prima manifestazione delle tinte cupe del suo personaggio. La contessa Maria Larisch di Hannah O’Neill e Valentine Colasante in Mitzi Caspar completano con convinzione l’impressionante numerosità di passi a due di un lavoro che narra, ricorda e manifesta l’eccedenza dell’umano.
L’intensità di questo lavoro dalle pennellature crepuscolari è tale che a distanza di oltre quarant’anni dalla creazione non è scalfita la validità estetica, l’ossatura coreografica e l’innegabile modernità di un linguaggio totalmente al servizio del movimento e del dramma in pari misura. A Londra sapevamo di ritrovare uno dei cardini identitari del Royal Ballet, a Parigi abbiamo l’impressione di aver fatto esperienza di un lavoro coreografico sedimentato nella troupe già da tempo, a tal punto da sembrare necessario.
Vito Lentini