Balletto in tre atti.
Coreografia e messinscena di Kenneth MacMillan ripresa da Karl Burnett.
Musica di Jules Massenet
Arrangiamento e orchestrazione di Martin Yates
Scene e costumi di Nicholas Georgiadis. Luci di Jacopo Pantani.
Con: Amandine Albisson, Léonore Baulac, Dorothée Gilbert, Laura Hecquet, Myriam Ould-Braham, Ludmila Pagliero,
Sae Eun Park, Guillaume Diop, Mathieu Ganio, Mathias Heymann, Germain Louvet, Hugo Marchand, Paul Marque,
Marc Moreau, le étoiles, i primi ballerini e il Corpo di Ballo dell’Opéra national de Paris diretto da José Martinez.
Orchestra dell’Opéra national de Paris. Direttore: Pierre Dumoussaud.
PARIGI, Opéra national de Paris, Palais Garnier, dal 20 giugno al 15 luglio 2023
L’Histoire de Manon a Parigi tra furberia e ponderatezza. All’inizio della corrente stagione di danza l’Opéra national de Paris ha proposto per la prima volta Mayerling, uno dei titoli cardinali del repertorio firmato da Kenneth MacMillan. Oggi torniamo a Parigi, e sempre al Palais Garnier, per la ripresa dell’Histoire de Manon, lo spettacolo che il coreografo britannico creò nel 1974 alla Royal Opera House di Londra e andato in scena all’Opéra de Paris nel 1990. Venti le recite programmate tra giugno e luglio con numerosi avvicendamenti di cast concepiti per la nota e tormentata storia narrata dall’abbé Prévost. Nella prima delle due rappresentazioni seguite scopriamo per la prima volta nel ruolo una delle étoile della massima compagnia francese, Léonore Baulac. La sua Manon è, fin dalle prime battute, una ragazza di sedici anni poco consapevole degli eventi vissuti e delle conseguenze derivabili dalle decisioni assunte. È credibile, difatti, l’idea di consegnare un personaggio in preda dell’umana bizzarria e attento, nel contempo, ad approfittare furbescamente delle opportunità colte senza troppi tentennamenti o ripensamenti: su questo si veda il levantino pas de trois del secondo tableau del primo atto condiviso con Monsieur de G.M. e Lescaut. Valido il profilo tecnico adottato sia nelle variazioni che nei passi a due. Al suo fianco Mathias Heymann è uno chevalier Des Grieux abile nel superare le incertezze tecniche mostrate nei primi segmenti coreografici del primo atto, appassionato e spontaneo l’impeto d’amore che riserva nei pas de deux, sicura la modulazione che adotta nei molteplici risvolti drammaturgici che hanno luogo nell’Hôtel particulier de Madame. Una nota di merito è da riservare per Andrea Sarri che nei panni di Lescaut è magnetico, il solo da ubriaco nel secondo atto è lavorato alla perfezione, come pure la morte che apre gli scenari più voraginosi della burrascosa storia d’amore. Di valore, altresì, l’ultimo cast che chiude la lunga serie di rappresentazioni al Palais Garnier. Il giorno successivo alla Fête nationale la giovane Manon è l’étoile Ludmila Pagliero: il suo è un personaggio che appare ponderato, maturo, amabile nelle espressioni e abile nel proporre raffinatamente la storia con Des Grieux, non del tutto persuaso dagli scaltri intrighi architettati da Monsieur de G.M. e Lescaut, un abisso morale l’atto violento vissuto con il carceriere. Marc Moreau riconferma le nostre valutazioni dello scorso mese di dicembre in una delle recite del Lago dei cigni: qui nei panni del protagonista regala una tecnica adamantina restituendo, finalmente, gli insidiosi equilibri della prima variazione con disinvolta tempra e sicurezza. Con encomiabile maestria opta per sospiri pieni di senso, purezza del movimento e delicatissime nuance nel corso del noto chagrin d’amour del secondo atto. I loro passi a due testimoniano le letture conferite ai due personaggi: non c’è spazio per impeti e guizzi senza misura ma, di converso, alberga raffinatezza e grazia in ogni passaggio coreografico. Tecnicamente superata la prova di Francesco Mura nei panni di Lescaut, da affinare la verve interpretativa. Se raffinata è la bacchetta del Maestro Pierre Dumoussad impegnata - in ambedue le recite - con la peculiare partitura di Massenet, globalmente il corpo di ballo sembra modulare con maggiore precisione l’ultima rappresentazione restituendo vividamente i netti contrasti della Parigi prerivoluzionaria. A cinquant’anni dalla creazione questo titolo, oltre all’indiscusso valore coreografico, seguita a palesare con spietata autenticità quelle disparità, quell’illogicità, quel dramma, quell’incoscienza e quell’abbandono alla condivisione d’amore che garantiscono, ancora oggi, la validità di un lavoro accolto, ovunque, con pieno plauso. Vito Lentini