Di: Roberto Castello in collaborazione con la compagnia
Con: Mariano Nieddu, Stefano Questorio, Giselda Ranieri, Ilenia Romano
Assistente: Alessandra Moretti
Luci, musica, costumi: Roberto Castello
Costumi realizzati da: Sartoria Fiorentina, Csilla Evinger
Produzione: Aldes
Con il sostegno di: MIBACT/Direzione Generale Spettacolo dal vivo, REGIONE TOSCANA/Sistema Regionale dello Spettacolo
Anno di creazione: 2015
Roma, Teatro Palladium 23 aprile 2023
Crudeli, strazianti e straziati, insaziabili ed eterni come il fuoco del peccato che li brucia, i quattro danzatori di “In Girum imus nocte et consumimur igni” non conosco nulla se non il male che li alimenta, li agita, li fa godere e li depriva della purezza dell’essenza umana. La compagnia Aldes, diretta dal coreografo Roberto Castello, torna così a Roma in occasione del festival di danza Orbita | Spellbound Centro Nazionale di Produzione della Danza.
Siamo da subito catapultati in un mondo dove non c’è colore, nel quale una meccanica voce che ordina “Lights on” e “Light off” conforma il ritmo ripetitivo della dualità luce-buio. Contemporaneamente, una proiezione grigia dà l’illusione di muovere i corpi dei danzatori verticalmente, elevandoli sopra noi come spiriti, poi cambia e disegna lo spazio geometricamente. È in questi spazi di luce geometrica che i danzatori si contendono la loro stessa vita, spostandosi con decisione nel buio, andando da un quadrato illuminato all’altro, ricreando un susseguirsi di scene, o tableaux, che stabiliscono un rigore ritmico, scenico e coreografico. Nel frattempo noi li seguiamo, gradualmente rendendoci conto che un suono insistentemente martellante ci accompagnerà per tutto lo spettacolo: quasi ci abituiamo, a tratti diventa ipnotizzante, ma poi torna ad essere insostenibile. Anche noi, come i danzatori, entriamo in uno stato di malessere: abbandoniamo il desiderio che quel suono finisca, smentiamo l’attesa del rilascio di tensione.
Imperturbabili i danzatori continuano nella loro disperata agitazione in cui trovano, però, un senso di familiarità. Il fuoco che li alimenta è lo stesso che li rende vivi ed ardenti, dunque non possono far a meno di estenuare la loro condanna, proprio come in un girone infernale dantesco. Addirittura arrivano brevi scene di riso nervoso, di spinta erotica e piacere incontenibile: salterellano in trenino come ad una festa, poi si buttano a terra e si danno all’istinto sessuale. Dall’odio all’amore, dalla sfida reciproca al gioco, rimandano a più tardi la certezza di un dolore profondo. Anche in questi momenti di leggerezza, infatti, non c’è tregua: il gioco diventa grottesco, a tratti volgare, e non procura nessun reale sollievo al peso dell’eterna pena. Sicuramente Castello mostra una grande varietà e quantità di scene, ricordandoci la potenza del restare con un’idea ed un’idea soltanto, sperimentandola in ogni sua forma, così rivelando la profondità della sua ricerca di movimento.
Guardando lo spettacolo si prova uno strano senso di riconoscimento con i corpi dei danzatori come anime peccatrici instancabili. Soprattutto l’aspetto grottesco dello spettacolo ci rimanda a un senso di serenità che appare non solo momentaneo, ma anche falso: ci estraniamo con brevi momenti di fugace leggerezza, assaporando per poco l’estasi del piacere, ritrovandoci poi mai realmente curati, mai realmente guariti, sempre seguiti dai fantasmi profondi che continuamente nascondiamo a noi stessi.
Maria Elena Ricci