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PIERROT LUNAIRE op. 21 / GIANNI SCHICCHI – regia Valentina Carrasco

"Pierrot Lunaire", regia Valentina Carrasco. Foto Andrea Macchia "Pierrot Lunaire", regia Valentina Carrasco. Foto Andrea Macchia

Arnold Schönberg
Pierrot Lunaire op. 21
Testo di Albert Giraud, traduzione in tedesco di Otto Erich Hartleben
INTERPRETI
Musa: Alda Caiello
Artista: Bruno Taddia
I Solisti dell’Orchestra Haydn
Direttore musicale: Michele Gamba
Regia Valentina Carrasco
Scene e costumi Mauro Tinti
Lighting Design Giuseppe Di Iorio

Giacomo Puccini
Gianni Schicchi
Libretto di Giovacchino Forzano
INTERPRETI
Gianni Schicchi: Bruno Taddia
Lauretta, sua figlia: Sara Cortolezzis
Zita, cugina di Buoso: Enkelejda Shkoza
Rinuccio, suo nipote: Antonio Mandrillo
Gherardo, nipote di Buoso: Marcello Nardis
Nella, sua moglie: Francesca Maionchi
Gherardino, loro figlio: Ben Perkmann
Betto di Signa, cognato di Buoso: Gianni Giuga
Simone, cugino di Buoso: Renzo Ran
Marco, suo figlio: David Roy
La Ciesca, moglie di Marco: Sarah Richmond
Maestro Spinelloccio, medico: Mattia Rossi
Messer Amantio di Nicolao, notaio: Mattia Rossi
Pinellino, calzolaio: Federico Evangelista
Guccio, tintore: Lorenzo Ziller
Buoso Donati: Iosu Lezameta
Orchestra Orchestra Haydn di Bolzano e Trento
Direttore musicale: Michele Gamba
Regia: Valentina Carrasco
Scene e costumi: Mauro Tinti
Lighting Design: Giuseppe Di Iorio
Fondazione Haydn di Bolzano e Trento – Stagione Sinfonica e d’Opera 2024/25
Bolzano, Teatro Comunale 9 -10 novembre 2024

www.Sipario.it, 13 novembre 2024

Tanta era l'aspettativa per questa nuova stagione d'opera promossa dalla Fondazione Haydn di Bolzano e Trento. Voltata pagina sulla gestione affidata dal 2015 al 2023 a Matthias Lošek, sotto la direzione unitaria di Giorgio Battistelli, direttore artistico della Fondazione Haydn, ha preso forma un'altra prospettiva sull’opera lirica che vuole offrire al pubblico regionale una visione del mondo del melodramma che mettesse assieme il repertorio della tradizione con le sue varie trasformazioni per permettere a ognuno di trovare il proprio spazio d’ascolto. E così è stato nel primo evento di questa stagione d'opera 2024-2025 con un dittico formato da Gianni Schicchi di Puccini e Pierrot Lunaire di Arnold Schönberg. Accostamento non casuale ma dovuto alla sovrapposizione di vari anniversari: i cent'anni dalla morte di Puccini, il 150o anniversario della nascita Schönberg ai quali si aggiunge i 100 anni dalla prima rappresentazione del Pierrot Lunaire in Italia. Un tour del 1924 promosso dalla Corporazione delle Nuove Musiche di Roma, fondata da Alfredo Casella con Gian Francesco Malipiero e Gabriele D’Annunzio dove Schönberg e il suo Pierrot Lunaire costituivano il modello della musica della contemporaneità, che voleva aprirsi al rinnovamento estetico musicale europeo e che toccò diverse città da Padova, Firenze, Roma, Torino, Venezia. Alla rappresentazione di Firenze assistette Giacomo Puccini giuntovi appositamente da Torre del Lago curioso per tutto quanto era di novità; un incontro evidenziato dai vari testimoni da Casella a Luigi Dallapiccola quello tra Puccini con Schönberg nel segno di reciproca stima e rispetto tanto che Puccini ricevette in dono la partitura della composizione (“Chi ci dice che Schönberg non sia il punto di partenza per una lontana meta futura? Oggi, o io non capisco nulla, o siamo lontani, come Marte dalla Terra, da una concreta realizzazione artistica” commentò il Lucchese rimarcando anche la sua difficoltà alla comprensione). Due mondi sonori distinti: nel Pierrot il mondo della frantumazione dell'armonia musicale affidato più alla voce dello Sprechgesang tra canto e parlato, dove la voce non cerca la melodia ma, raggiunta una nota, l'abbandona, rincorrendo l'accentuazione della parola, qui la musica che si presenta con poche articolazioni melodiche ma con alcune forme riconoscibili tra note di una passacaglia, walzer, minuetto, barcarola, una fuga, tracce di contrappunto, ballate da cabaret, in Puccini il predominio della melodia. Basato su una selezione di 21 (tre volte sette) poesie tratte da una raccolta più ampia del simbolista belga Albert Giraud, il Pierrot è ispirato alla celebre maschera della commedia dell'arte italiana, dove atmosfere oniriche offrono l'immagine di una luna decadente e di ambienti rarefatto. Alla regista argentina Valentina Carrasco, cresciuta all'interno dello staff creativo spagnolo della Fura dels Baus il compito di raccordare le due composizione, tra l'altro affidatele in due momenti distinti. Nel Pierrot la Carrasco si adegua alla narrazione poetica offrendo nei gesti e nella creazione della situazione scenica, a cura di Mauro Tinti, una rappresentazione didascalica di quanto ci offrono i testi poetici. Il suo protagonista è un pittore silenzioso, Bruno Taddia che cerca una sua musa ispiratrice, movendosi tra quadri di iconografie riconoscibili della modernità, tra Picasso e De Chirico, Monet e vedutisti ottocenteschi, che danno forma e colore alla scena, e interagiscono nella mani dei pittore alla ricerca di una forma perfetta. Con una figurina, quasi una marionetta che emerge qua e là tra i quadri. Protagonista assoluta è la voce di Alda Caiello, che si muove nel dar forme alla precisa gestualità espressa nei versi. Si tratta una artista che pratica con competenza il repertorio delle musiche di avanguardia avendo lavorando con tutto il mondo musicale italiano della sperimentazione. Una voce che pur nell'asprezza della scrittura ha affascinato per l'armonia e la pastosità dell'emissione guidata dal direttore Michele Gamba con l'ensemble dell'Orchestra Haydn che ha dato dimostrazione della pratica nel repertorio contemporaneo. Sarà l'arte il punto di incontro tra i due mondi, quello notturno e spiritato del Pierrot Lunaire e quello grottesco del Gianni Schicchi che recupera l'iconografia della pittura fiorentina del Quattrocento che fa da sfondo alla vicenda. Parenti serpenti è la sintesi narrativa dell'opera pucciniana che vede i personaggi accaparrarsi l'eredità di Buoso Donati a costo di commettere truffe e imbrogli. Qui la Carrasco recupera la sua formazione di regista iconoclasta al limite della blasfemia. In scena, in una corniche che ha per sfondo i paesaggi toscani e di Firenze, i parenti di Buoso Donati sono una pletora di santi riconoscibili secondo l'iconografia della tradizione, una sant'Agata, santa Lucia, la Madonna (Zita), santa Agnese, San Biagio (Simone) nella veste di vescovo con candele in mano, San Giovanni (Rinuccio), non manca Cristo al posto di Buoso Donati (il mino Iosu Lezameta) sbalzato fuori dal letto sepolcro come un fardello di difficile collocazione. Compare anche Dante e Beatrice dal sepolcro che si inseguono per il palcoscenico. Si ride e si sorride alle trovate per rimediare al guaio del testamento, ed ecco che i santi chiamano Gianni Schicchi, il baritono Bruno Taddia, che riprende i panni del pittore, che cerca di ricollocare tutto e tutti nel loro ordine, facendo le loro e le sue volontà. Sarà la musica di Puccini a rimette tutto a posto anche qui diretta da Michele Gamba che offre la possibilità all'orchestra Haydn di misurarsi con questo repertorio operistico che fa della melodia il suo punto di forza ma che non tralascia quello che è anche un paesaggio sonoro sull'allora contemporaneità, cenni che Puccini sparge specie nei momenti d'assieme dove la concitazione della situazione fa saltare le armonie e che il direttore fa giustamente risaltare. Altro punto di collegamento e di passaggio da un titolo all'altro, la citata marionetta comparsa nel Pierrot, che senza perdere la sua sembianza di marionetta futurista in stile Depero, si trasforma nella Lauretta con la voce di Sara Cortolezzis con la sua aria O mio babbino caro; a questo antico mondo dell'opera risponde Rinuccio (il giovan tenore Antonio Mandrillo) con la sua aria dedicata a Firenze (Firenze è come un'albero fiorito) che assieme pretendono ordine e sentimento in questo mondo concitato di parenti bizzarri. Bruno Taddia gestisce un Gianni Schicchi sornione, più attore che cantante, amplificando il gioco delle parti, trasformandosi del Buoso Donati/Cristo nel sepolcro, accentuando con la voce l'aspetto grottesco di tutta la vicenda. Alla fine tutto la truffa architettata si ritorce contro ai parenti, Schicchi risorge da sepolcro come un Cristo di Piero della Francesca e manda a quel paese i santi ingordi. Ben riuscita la composizione di tutto il cast che comprendeva già qualche nome noto nelle rappresentazioni liriche della regione come Gianni Giuga (Betto di Signa), Renzo Ran (Simone) assieme a Marcello Nardis (Gherardo). Ma alla fine è di nuovo l'arte contemporanea che ricompatta tutto: ecco che un quadro di stile Mondrian scende come sfondo, qualche santo si sveste delle sacre vesti per prendere gli abiti della quotidianità come gesto liberatorio (Rinuccio e Lauretta), come il protagonista che ricompare nel suo aspetto di pittore con il camice sporco di colori. Del resto la musica è colore e invenzione.

Federica Fanizza

Ultima modifica il Domenica, 17 Novembre 2024 18:34

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