Dramma per musica in due atti di Gioacchino Rossini
Libretto Giovanni Schmidt
Direttore Antonino Fogliani
Regia Davide Livermore
Assistente alla regia Sax Nicosia
Scene Giò Falaschi
Costumista collaboratrice Anna Verde
Luci Nicolas Bovey
Video design D-Word
Assistente direttore musicale Nicola Pascoli
Coro e orchestra del Teatro Massimo di Palermo
Maestro del coro Salvatore Punturo
Allestimento del Rossini Opera Festival e del Teatro Massimo di Palermo
Personaggi e interpreti
Elisabetta Nino Machaidze (22, 25, 27, 29) / Aya Wakizono (24, 26)
Leicester Enea Scala (22, 25, 27, 29) / Mert Süngü (24, 26)
Norfolc Ruzil Gatin (22, 25, 27, 29) / Alasdair Kent (24, 26)
Matilde Salome Jicia (22, 25, 27, 29) / Veronica Marini (24, 26)
Enrico Rosa Bove
Guglielmo Francesco Lucii
Palermo, Teatro Massimo dal 22 al 29 ottobre 2024
A preziosa cerniera tra la stagione 23/24 e la nuova del 24/25 il Teatro Massimo di Palermo presenta l’opera Elisabetta Regina d’Inghilterra, dopo mezzo secolo di assenza dalle scene ma che nel 2021 ha debuttato al Rossini Opera Festival e che ora si rilancia con un rinnovato cast. Composta nel 1815 per il Teatro San Carlo di Napoli su libretto di Giovanni Schmidt, tratto dal dramma Il paggio di Leicester di Carlo Federici, quest’opera procede da un libretto di Giovanni Schmidt e fu composta nel 1815 per il Teatro San Carlo di Napoli con il quale il compositore inaugurava una lunga collaborazione. Il plot è centrato sul conflittuale amore di Elisabetta, regina d’Inghilterra che smania per il favorito Leicester che ebbe la meglio sull’esercito scozzese. Il nobile Norfolc, invidioso del successo del rivale si finge amico, per strapparli confidenze sulla sua vita privata onde rivelare, per ripicca, subito dopo a Elisabetta, che l’amato si è segretamente congiunto con Matilde, figlia di Maria Stuarda, la grande nemica, che si è infiltrata a corte insieme al fratello travestito da donna, per mantenere la vicinanza col marito. Una regale doccia fredda ghiaccia la sovrana che però tenta una mossa d’alto rango: offre a Leicester la corona e la sua mano ma ne ricava un’inattesa sorpresa cioè la conferma dei sentimenti di Leicester per Matilde pertanto li fa arrestare con l’accusa di tradimento. Ma l’animo di Elisabetta è roso dai rimorsi, e decide così di risparmiare la vita ai prigionieri nel caso in cui Matilde accetti la separazione da Leicester. Nel frattempo il terribile Norfolc, facendo leva sul malumore popolare, causato dall’ingiusta condanna a morte inflitta al favorito della regina, infiamma una rivolta popolare per liberare Leicester, offrendogli di guidarla pur avendo in programma di ucciderlo alla prima buona occasione. Tensioni, conflitti, sentimenti, verità e menzogna si coagulano nello spazio angusto della prigione dove Leicester pur privato della libertà non abbocca al tranello del falso amico e trova modo e forza per confermare la sua immutata fedeltà alla regina che lo ha raggiunto di persona. Così Elisabetta non esita a condannare a morte il losco traditore, riabilita Leicester per provata fedeltà e lignaggio morale e accetta che il suo amore non sia per lei che invece decide di virare tutte le sue passioni e speranze nella gestione della corona e della complessa politica. La regia di Livermore ha un’impronta forte e misurata al contempo perché sposta la storia al tempo della Seconda Guerra Mondiale dove la figura della sovrana protagonista Elisabetta I allude invece a quella di Elisabetta II con parecchie concessioni all’immaginario cine televisivo di The Crown. Elegante e luminosa la scenografia di Giò Forma rappresenta gli interni dei palazzi reali come un mondo senza terra ferma, dove tutto è spezzato, i piani inclinati, i mobili sprofondati, per metà inghiottiti affiorano da un vecchio pavimento che non può più reggere la realtà e ai quali non si può saldamente appoggiare questa regina in bilico tra il suo ruolo e la persona umana, tra i suoi sentimenti e i suoi doveri. Tutto si gioca in una tensione di equilibri precari dentro la prospettiva in bianco delle raffinatissime proiezioni di D-Wok. Questo spostamento storico dal tempo elisabettiano a quello novecentesco non disturba come talvolta accade in altre direzioni sovversive anzi non posso evitare di osservare che nel 2021all’epoca del debutto al Rossini Opera Festival Elisabetta II era ancora in vita pertanto il rimando all’attualità era diretto ma la sua morte accaduta nel frattempo dà alla nuova edizione una maggiore storicizzazione, poiché rimanda a qualcosa di ormai consegnato al passato per quanto recente e molto vivo nell’immaginario collettivo cine televisivo. Il video è usato con la leggiadria di un pennello che raddoppia cromaticamente i vari stati emotivi senza essere mai didascalico. L’uso di un sobrio bianco e nero in immagini astratte fatta eccezione per un aereo che bene ricrea l’atmosfera d’incombenza di quell’epoca e quel malinconico cervo in silhouette che richiama l’ umana solitudine di chi porta il peso del potere e poi s’infiamma di venature rosso carminio man mano che il plot tragico del libretto si disvela nel cuore regale che s’infrange per via di un amore supposto ma in realtà non corrisposto. Infatti i fili narrativi si intrecciano attorno alla dolorosa frustrazione con la quale la regina, innamorata di Leicester, deve fare i conti allorché l’infido Norfolck le rivela che Leicester era già sposato. Buona l’interpretazione di Nino Machaidze che riesce ad esprimere la gabbia che il ruolo regale costringe la donna Elisabetta anche se vocalmente qua e là manca di morbidezza. Impeccabile Enea Scala offre un Leicester a tutto tondo e anche Ruzil Gatin brilla vocalmente dando credibilità al personaggio Il soprano Salome Jicia incarna luminosamente ruolo di Matilde sebbene il travestimento grottesco del finto fratello impersonato mezzosoprano Rosa Bove ne mina la credibilità. Bravo Francesco Lucii nel ruolo di Guglielmo. Magnifici per stile ed eleganza i costumi di Gianluca Falaschi. Le cameriere tersicoree son un tocco giocoso e ironico coerente con lo spirito rossiniano. L’orchestra del Teatro Massimo, diretta da Antonino Fogliani, dà un’interpretazione densa che però potrebbe far lievitare maggiormente la scrittura rossiniana. Diretto dal maestro Salvatore Punturo, il coro impeccabile dà il meglio nei momenti nei quali il dramma ha le sue più alte punte conflittuali e di scontro. Uno spettacolo da non perdere e che rimane impresso nella memoria. Valeria Patera