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NON FU MAI UOMO CHE CERCASSE TANTO – Il Nuovo l'Antico l'Altrove

"Non fu mai uomo che cercasse tanto", coreografia Tao Ye. Foto Dino Russo "Non fu mai uomo che cercasse tanto", coreografia Tao Ye. Foto Dino Russo

 

Il Nuovo l'Antico l'Altrove/ Bologna Festival
Kayhan Kalhor  kamancheh
Kiya Tabassian  setar
Sandro Cappelletto  drammaturgia e voce narrante
Delumen  videoproiezioni
Visto il 6 novembre 2024, Oratorio di san Filippo Neri, Bologna

www.Sipario.it, 31 ottobre 2024

La sezione del Bologna Festival Il Nuovo l'Antico l'Altrove col concerto Non fu mai uomo che cercasse tanto ha offerto al pubblico un'esperienza immersiva che lo ha incantato unendo musica, parole e immagini per creare un tributo profondo e sensoriale ai viaggi di Marco Polo, in occasione dei 700 anni dalla sua morte. Con Kayhan Kalhor al kamancheh, un antico strumento ad arco della tradizione persiana conosciuto per le sue capacità espressive e il suo suono struggente che il musicista ha suonato con diverse tecniche, Kiya Tabassian al setar, un liuto persiano dal suono delicato, e Sandro Cappelletto, voce narrante che ha portato il pubblico dentro la narrazione con un testo che ha esplorato il tema del tempo, del ricordo e della ricerca di un altrove spirituale e culturale, insieme alle videoproiezioni artistiche e immersive a cura di Delumen. La serata ha portato gli spettatori in un viaggio immaginario verso l’Oriente antico, fatto di suoni, colori e suggestioni che si svelano progressivamente, come pagine di un racconto senza tempo. Il programma si è articolato in due parti distinte ma complementari, per un totale di quasi un’ora e mezza di performance, scivolata come un battito di ciglia. Nella prima parte Cappelletto ha offerto una lettura ispirata da passi tratti dal Milione di Marco Polo, alternando narrazione e musica in un dialogo sottile ed evocativo. Kalhor e Tabassian hanno accompagnato le parole di Cappelletto con brani di musica tradizionale persiana, creando una tensione emotiva e una ricchezza sonora che hanno permesso al pubblico di immergersi pienamente nei racconti dello scrittore veneziano. Il kamancheh di Kalhor, strumento dal suono profondo e ricco di sfumature, è stato il filo conduttore di questo viaggio musicale, mentre il setar di Tabassian ha conferito al tutto una delicatezza e una profondità che hanno saputo toccare corde profonde. La drammaturgia di Cappelletto è stata arricchita dalle videoproiezioni curate da Delumen, che ha saputo costruire un contesto visivo estremamente evocativo. Miniature medievali, anche ispirate all'arte persiana, sono state proiettate durante la narrazione rievocando il momento storico e le atmosfere e i luoghi descritti da Marco Polo. Queste immagini, colorate e ricche di dettagli, hanno trasportato il pubblico in un mondo visivo che ha affiancato e amplificato il potere della parola e della musica, offrendo uno sguardo affascinante sulle corti, le città e i mercati di un Oriente lontano e misterioso, che sfuma tra storia e leggenda. La fusione tra parola, musica e immagine ha così creato un racconto in cui ogni elemento sembra indispensabile, completando e arricchendo l’altro in un dialogo che, senza forzature, trasporta lo spettatore in un viaggio intimo e riflessivo. Dopo una breve pausa, la seconda parte della serata ha preso una piega più astratta e contemplativa, ampliando il racconto in una dimensione onirica e sensoriale. In questa sezione la narrazione si è fatta interamente musicale e visiva, con le videoproiezioni che si sono trasformate in composizioni cromatiche ispirate ai motivi dei tappeti persiani, suggestive e ipnotiche. Le geometrie intricate, i colori accesi e i motivi circolari e ripetuti hanno dato vita a una sorta di viaggio visivo che, pur rimanendo nell’astrazione, suggeriva un senso di profondità, come se si esplorassero strati di significato sempre più nascosti e inaccessibili. Kalhor e Tabassian, immersi nel loro mondo sonoro, hanno qui portato il pubblico verso atmosfere rarefatte e silenziose, evocando immagini di paesaggi vasti e misteriosi. Le loro note, ora più libere e dilatate, sembravano raccontare la bellezza e la maestosità dei palazzi di Isfahan, il mistero e i chiaroscuri del mercato antico di Yazd, e la desolata immensità dei deserti attraversati dai venti torridi, a tratti rotta dal frusciare delle brezze che scendono dalle cime innevate. Le melodie dei due musicisti hanno trasportato gli spettatori in una realtà fatta di sensazioni e dettagli sensoriali che evocano il profumo delle spezie, la consistenza dei tessuti preziosi e la presenza invisibile di storie antiche. Era come se ogni nota contenesse un frammento di memoria collettiva, trasportando il pubblico dalle montagne della Turchia e dell’Armenia fino alle coste dell’India, dipingendo un Oriente che è insieme reale e immaginato, mitico e concreto. Le proiezioni di Delumen, ispirate ai motivi dei tappeti persiani, non erano solo uno sfondo ma un vero e proprio elemento narrativo, in cui colori e geometrie sembravano intrecciarsi con la musica, amplificando la percezione di uno spazio vasto e accogliente. Immerso in questa atmosfera, come rapito da una corrente sottile e inafferrabile che scorreva tra note e immagini, il pubblico alla fine della serata ha sottolineato il valore di questo incontro artistico che, pur rimanendo ancorato a un linguaggio semplice e intimo, ha saputo evocare una ricchezza di emozioni e sensazioni che raramente si trovano in una performance musicale. Non fu mai uomo che cercasse tanto non è stato solo un tributo a Marco Polo, ma un omaggio all’arte del viaggio, alla curiosità e alla scoperta, valori che continuano a ispirare e affascinare anche oggi. Il pubblico, coinvolto in un ascolto molto attento ha sottolineato con entusiasmo e applausi il proprio gradimento, riconoscendo l’intensità e l’originalità della performance. 

Giulia Clai

Ultima modifica il Domenica, 10 Novembre 2024 21:56
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